Amministratori

Contro l’inerzia della Pa il silenzio assenso che si autocertifica

Il privato può chiedere all’ente un attestato e in caso di mancara risposta dopo 10 giorni può fare una autodichiarazione

di Antonello Cherchi e Valeria Uva

Il silenzio assenso prende consistenza. D’ora in avanti gli uffici pubblici dovranno, su richiesta dell’interessato, attestare che i termini a loro disposizione per rispondere sono scaduti e quel silenzio equivale all’accettazione della domanda. In caso ciò non accada, l’utente potrà autocertificare la persistente inerzia dell’amministrazione e far valere quell’atto. È la novità contenuta nell’articolo 62 del recente decreto legge Semplificazioni (Dl 77/2021): poche righe che potrebbero rivitalizzare l’efficacia di un istituto che in questi anni ha mostrato grandi limiti.

«La disciplina del silenzio assenso - commenta Giulio Veltri, consigliere di Stato e capo dell’ufficio legislativo del ministero per il Sud - ha ormai più di trent’anni, perché è stata introdotta con la legge 241 del 1990. Si tratta di uno strumento che non ha avuto un uso diffuso, proprio per le sue difficoltà applicative legate, in particolare, alla sua “inconsistenza”: finora non era previsto il rilascio da parte dell’amministrazione di un documento che attestatte il formarsi del silenzio assenso».

Trent’anni di inconsistenza

Un caso abbastanza frequente era, per esempio, quello dell’acquisto di n immobile in cui venisse chiesto dal notaio il permesso di costruire. Se quel documento non esisteva ed era stata richiesto per tempo al comune, nel caso quest’ultimo non avesse risposto nei termini previsti (90 o 180 giorni a seconda dei casi), scattava il silenzio assenso. L’acquirente, però, non poteva dimostrarlo, nel senso che non possedeva alcun documento che certificasse l’inerzia dell’amministrazione. Poteva solo presentare al notaio il documento rilasciato dall’ufficio con la data del protocollo del permesso di costruire e conteggiare i giorni trascorsi da quel momento.

Si trattava, tuttavia, di un ragionamento che aveva poco valore, perché l’iter della domanda del permesso di costruire - così come di qualsiasi procedura sottoposta a silenzio assenso - può essere interrotto da parte da parte dell’amministrazione per la richiesta di documenti integrativi. E il calcolo dei tempi del silenzio deve tenerne conto. Il risultato è che il notaio - per restare all’esempio - non poteva accettare il silenzio assenso proprio per la sua inconsistenza documentale.

Attestare il silenzio

Questo era quanto accadeva, almeno per il permesso di costruire, fino all’anno scorso, quando un altro decreto Semplificazioni (Dl 76/2020) ha introdotto per tale pratica l’obbligo per l’amministrazione di rilasciare, su richiesta dell’interessato, un’attestazione sul decorso dei termini del procedimento. Ci sono, però, diverse altre istanze che continuano a non poter veder certificato il formarsi del silenzio assenso. A queste altre tornerà utile la norma dell’ultimo decreto Semplificazioni, perché le amministrazioni dovranno, sempre su richiesta dell’interessato da inoltrare per via telematica, rilasciare un attestato sul decorso dei termini e riconoscere, pertanto, il silenzio assenso con conseguente accoglimento della domanda originaria.

L’autocertificazione

La nuova disposizione fa, però, un passo avanti, che rende ancora più penetrante il silenzio assenso: se l’amministrazione continua a non rispondere anche alla richiesta di attestato da parte dell’utente, allora quest’ultimo, trascorsi dieci giorni, può redigere una dichiarazione sostitutiva di atto notorio nella quale indicare il persistente silenzio dell’ufficio pubblico.

«L’atto di notorietà - sottolinea Veltri - dà consistenza documentale al silenzio assenso e ne va tenuto conto da parte di coloro a cui viene presentato. Rispetto a quanto già previsto per il permesso di costruire, questo è un elemento ulteriore che può chiudere il cerchio e dare ancora più forza allo strumento».

Dopo trent’anni, dunque, il silenzio assenso potrà forse conoscere una nuova vita. Finora il suo destino è stato legato soprattutto alle sentenze dei giudici amministrativi, perché non esistendo un obbligo per le amministrazioni di certificarlo, i tanti casi dubbi finivano davanti ai Tar e al Consiglio di Stato. Senza contare che anche davanti a un silenzio assenso acclarato dal calcolo dei tempi, con conseguente avvio dell’attività da parte dell’utente (per esempio, l’apertura di un negozio), l’amministrazione poteva sempre agire anche a “tempo scaduto” in via di autotutela.

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