Amministratori

Corte dei conti, ricapitalizzazione della società partecipata in crisi solo con il piano di risanamento

I giudici sono intervenuti in tema di divieto di soccorso finanziario in favore di società a partecipazione pubblica

di Anna Guiducci e Patrizia Ruffini

In caso di grave crisi della società a partecipazione pubblica, riconducibile alla previsione di cui all'articolo 14, comma 5, del Tusp (perdite per tre esercizi consecutivi), il ripristino del capitale sociale minimo presuppone l'approvazione di un piano di risanamento o l'adozione del Dpcm previsto dal terzo periodo della norma. A chiarirlo in maniera incontrovertibile è la deliberazione n. 76/2022, con la quale la Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per il Lazio interviene in tema di divieto di soccorso finanziario in favore di società a partecipazione pubblica e ricapitalizzazione (si veda anche NT+ Enti locali & edilizia del 15 giugno).

La nuova disciplina sul divieto di soccorso finanziario (innovativa rispetto a quanto in precedenza disciplinato dal Dl 78/2010), distingue due ipotesi, collegate alla diversa gravità della crisi societaria. La prima è regolata dal combinato disposto dei commi 2 e 4 del citato articolo 14 per i casi in cui emergano «uno o più indicatori di crisi aziendale» della società a controllo pubblico. In questa circostanza, si consente qualsiasi forma di soccorso finanziario, a condizione che sia approvato un piano di ristrutturazione aziendale dal quale risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività svolte.

La seconda ipotesi, maggiormente restrittiva, è invece disciplinata dal quinto comma dell'articolo 14 del Tusp, e attiene al caso di perdite per tre esercizi consecutivi o di utilizzo di riserve disponibili per il ripianamento delle stesse. In questo caso, sono consentite solo forme di «trasferimenti straordinari alla società», a condizione però che gli stessi siano previsti da un piano di risanamento approvato (non solo) dalla società, ma anche dall'Autorità di regolazione del settore, dove esista, e comunicato alla Corte dei conti. Il piano, inoltre, deve prevedere il raggiungimento dell'equilibrio finanziario entro tre anni. Sono altresì consentite, per esigenze di continuità di servizio, altre forme di soccorso, purché autorizzate con Dpcm a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico e la sanità.

L'articolo 2447 del codice civile stabilisce che se, per la perdita di oltre un terzo del capitale sociale, questo si riduce al di sotto del minimo legale, l'organo amministrativo deve senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale sociale e il contemporaneo aumento del medesimo «a una cifra non inferiore al minimo», o la trasformazione della società. Secondo i magistrati contabili l'interpretazione dell'inciso «salvo quanto previsto dall'articolo 2447 del codice civile» contenuto nell'articolo 14, comma 5, del Tusp deve tenere conto del fatto che il ripristino del capitale sociale minimo rappresenta il presupposto logico-giuridico della conservazione dell'impresa societaria in crisi grave e, quindi, del soccorso finanziario pubblico, da autorizzare con l'approvazione di un idoneo piano di risanamento o con l'adozione del Dpcm. L'approvazione del piano di risanamento da parte dell'Autorità di regolazione del settore conferisce all'operazione il necessario crisma di attendibilità/fattibilità economico-finanziaria sulla cui base il socio pubblico può iniettare nuove risorse finanziarie per il risanamento della società, riducendo, in tal modo, il rischio di non consentite erogazioni finanziarie a fondo perduto, inefficaci rispetto agli obiettivi previsti dal legislatore. L'eventuale ricapitalizzazione ai sensi del citato articolo 2447 del codice civile deve attestarsi, di regola, nella misura del minimo legale, salva la sussistenza di particolari ragioni, previste nel piano di risanamento, idonee a giustificare una ricapitalizzazione di maggiore entità, fermo restando, in ogni caso, l'onere di motivare analiticamente l'operazione. Solo una motivazione analitica, infatti, è idonea a rappresentare le cause di interesse pubblico sottostanti le scelte amministrative effettuate e, quindi, la legittimità delle stesse.

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