Il CommentoAmministratori

Da Roma la lezione sulle debolezze dei piani di razionalizzazione delle partecipate

di Stefano Pozzoli

La sezione di controllo della Corte dei Ccnti per il Lazio punta il mirino nei confronti della gestione delle società partecipate di Roma Capitale. Su richiesta del Comune, la seduta, già convocata, è stata rinviata a metà maggio ma, al di là del contraddittorio, è interessante scorrere la «relazione di deferimento». E questo non tanto per stigmatizzare questo o quel comportamento della Capitale, quanto per trarne indicazioni per il futuro, in un momento in cui si ricomincia a parlare di riforma del testo unico delle partecipate.

Una prima considerazione riguarda il perimetro della delibera ricognitiva delle società partecipate e del piano di razionalizzazione previsto oggi dall'articolo 20 del Tusp. La Corte lamenta molte lacune sulle partecipazioni indirette: la «deliberazione di A.C. n. 214/2020 si limita ad effettuare la ricognizione delle sole partecipazioni indirette possedute dal Comune per il tramite di AMA S.p.a., ATAC S.p.a. e Risorse per Roma S.p.a.». Su questo tema, però, sarebbe necessaria una semplificazione, perché pensare che un Comune possa seguire le partecipazioni di secondo o terzo livello è effettivamente eccessivo. La Corte, ancora, estende la sua riflessione anche agli altri organismi partecipati. Effettivamente, è criticabile che almeno la delibera ricognitiva delle partecipazioni non riguardi anche aziende speciali e altri organismi. E questo, non tanto per sottoporli alle disposizioni del testo unico, quanto per esplicitare eventuali sovrapposizioni di attività.

Gli effetti del piano, secondo la Corte, sono modesti, anche se calcolarli in termini di riduzione delle società non ci appassiona. Più grave è l'incapacità dell'ente di esercitare il controllo analogo delle società in house. È Roma Capitale a dichiararlo in una memoria: dopo «avere elencato n. 8 soggetti cui è attribuito, in modo "integrato", l'esercizio di tale peculiare e penetrante controllo» viene evidenziato «che (…) è emerso che le attività poste in essere nell'ambito del Gruppo Roma Capitale per l'esercizio del controllo analogo sono state del tutto insufficienti ed inadeguate alle finalità cui sono tese determinandosi, perciò, una situazione gestionale gravemente carente». Su questo Roma non è certo una eccezione, ma non possono esserci scuse, ed è necessario che la verifica della effettività del controllo analogo sia resa rigorosa e non scevra di conseguenze.

Incredibile, ancora, il numero di società (ed altri organismi) che non approvano il bilancio da anni. E questo, oltre ad essere di per sé grave sul piano della trasparenza, induce a pensare alla necessità di rafforzare le sanzioni che debbano essere comminate al socio così come agli amministratori inadempienti. La Corte fa riferimento come "sanzione" al mero «avvio della procedura di cancellazione della società dal registro delle imprese, secondo quanto previsto dall'art. 20, comma 9, del TUSP». In realtà servirebbe una disposizione assai più incisiva, che preveda una pesante sanzione, sull'esempio dell'articolo 20, comma 7, ovvero il «pagamento di una somma da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, salvo il danno eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile…».

La Corte pone inoltre l'attenzione sulle consulenze effettuate nel corso della gestione concordataria di Atac. Vedremo cosa risponderà l'ente. Da parte nostra restiamo convinti che serva una riforma dell'articolo 14 del Tusp, sulle crisi di impresa, che delimiti e puntalizzi il ricorso alle procedure previste dal Codice della Crisi che, nel caso di società pubbliche, rischiano di essere una facile scorciatoia.

Infine, la relazione si sofferma su alcuni casi di compensi agli amministratori erogati in misura superiore al tetto di legge. Al di là degli indebiti resta il fatto che società di tali dimensioni non possono essere gestite con compensi cristallizzati all'80% del 2013.