Debito, spesa per interessi record da 1.398 euro a testa
Italia prima in Europa per la spinta dei tassi al rialzo che porta il costo delle cedole BTp sale al doppio della media Ue sia in termini pro capite sia in rapporto al prodotto interno lordo
Il Def 2023 da ieri all’esame del Parlamento prospetta una netta correzione dei conti per i prossimi anni, che conferma il ritorno dell'avanzo primario dal 2024 e lo conduce nel 2026 a un livello, il 2% del Pil (circa 45 miliardi) che non si vedeva da quel 2012 in cui il governo Monti mise sul piatto gli ingredienti di una cura da cavallo per portare i nostri conti pubblici lontani dall’area criticissima in cui erano finiti.
La ragione di questa «scelta», in larga parte obbligata, è nei numeri. E in un numero in particolare, quello che misura la dinamica delle spese per interessi sul debito.
Una rapida rassegna delle cifre, messe a confronto con quel che succede negli altri Paesi, basta a misurare i termini della questione. L’Italia, spiega il nuovo programma di finanza pubblica, spenderà per interessi sul debito il 4,1% del Pil nel 2024, dopo la breve tregua di quest'anno (3,7% grazie all’inflazione un po’ più leggera che riduce i costi dei titoli indicizzati), il 4,2% nel 2025 e il 4,5% nel 2026.
Tradotta in euro, la corsa della spesa suona così: 75,6 miliardi quest’anno, 85,2 il prossimo, 91,6 miliardi e 100,6 nei due anni successivi. Somma enorme, tanto più se confrontata con quelle che per esempio il bilancio dello Stato dedica all’istruzione (52,1 miliardi), alle politiche sociali e alla famiglia (60,7 miliardi), al lavoro (19,4 miliardi), allo sviluppo delle imprese (40,7 miliardi) o all’energia (20,5 miliardi).
Per restare al 2024, significa che statisticamente il costo delle cedole dei BTp vale 1.398,1 euro per ogni italiano, compresi i neonati (sempre meno numerosi, e anche questo è un problema per il debito).
Sia in termini pro capite, sia in rapporto al Pil, la spesa per interessi italiana non conosce rivali in Europa e nel resto del mondo sviluppato. Nel continente, oltre a noi solo la Francia spende più di mille euro a testa (1.245,2), e questo aiuta a spiegare la scelta dell’Eliseo di portare avanti la riforma delle pensioni nonostante le forti tensioni sociali anche se a Parigi il peso sia della previdenza (13,6% del Pil) sia del debito pubblico (111,6% del Pil) siano largamente inferiori a quelli di Roma.
Lontanissimi sono i dati di tutti gli altri Paesi: dalla Spagna, dove gli interessi valgono 664,8 euro ad abitante (2,2% del Pil), fino ovviamente alla Germania (385,6 euro a cittadino, lo 0,8% del Pil), in un viag+gio che passa anche dalla Grecia dove la spesa dopo la ristrutturazione del debito non supera il 3% del prodotto (660,5 euro pro capite). In questa geografia, gli interessi sui titoli di Stato italiani si collocano a un soffio dal doppio della media europea (715,5 euro) in termini procapite e ben oltre al doppio del dato dell’Unione (1,9%) nel rapporto con il prodotto interno lordo.
Il primato italiano non vacilla nemmeno quando si esce dai confini europei e si raggiungono gli Stati Uniti, che sono superindebitati (129% del Pil), hanno appena sentito risuonare sul tema l’allarme lanciato dal Congresso, ma pagano per interessi sui Treasury bond 315,5 miliardi di dollari l’anno: che sono l’1,35% del Pil e valgono per ogni americano 950,6 dollari, cioè 856 euro.
La responsabilità di questi numeri non è ovviamente del governo Meloni, che si trova a gestire le conseguenze di una dinamica di lungo periodo come i suoi predecessori ma a differenza di loro lo deve fare nel contesto radicalmente cambiato dalla politica monetaria restrittiva avviata dalla Bce per combattere l’inflazione.
I dati sulla spesa per interessi sono efficaci nello spiegare l’agitazione che in Italia si accende molto più che altrove di fronte ai rialzi dei tassi decisi a Francoforte, che nei fatti si traducono in una prigione strettissima per qualsiasi opzione di politica economica.
Un quadro del genere comprime gli spazi sia nel breve periodo, a partire dall’autunno quando si dovrà costruire la manovra, sia nel lungo, dal momento che irrigidisce il bilancio pubblico con una spesa fissa e incomprimibile perché generata da fattori che sono fuori dal controllo del governo.