Dipendente pubblico socio di Srl tenuto a riversare anche gli utili se la amministra
Nell'ipotesi di svolgimento di attività extraprofessionale incompatibile con lo status di dipendente pubblico e in particolare di amministratore di fatto di una società lucrativa, l'obbligo di riversamento alla propria Amministrazione previsto dall'articolo 53, comma 7, del Dlgs 165/2001, include tutti i redditi percepiti. Lo ha statuito la Corte dei conti della Toscana con la pronuncia n. 152/2020.
Il caso
A seguito della indagine della GdF sul conto di una Srl cui faceva capo la conduzione di un locale notturno, era emerso che un appartenente alla stessa forza di polizia, sebbene apparentemente estraneo all'assetto formale della società investigata, deteneva in realtà, in veste di «socio occulto», una partecipazione societaria del 30%, occupandosi inoltre in prima persona della gestione degli interessi societari quale «amministratore di fatto», attività radicalmente inconciliabile con la militanza nella Guardia di Finanza, anche alla luce di quanto specificamente ribadito dall'articolo 894 del codice dell'ordinamento militare.
L'agenzia delle Entrate ha imputato al «socio clandestino» maggiori redditi per oltre 35mila euro di cui 30mila euro circa a titolo di partecipazione pro quota agli utili extracontabili accertati in capo alla società, la restante parte, a titolo di compensi quale amministratore di fatto della Srl.
La decisione
Il collegio contabile ha respinto tutte le obiezioni sollevate dalla difesa del finanziere, compresa quella secondo cui la parte della pretesa costituita dagli utili percepiti in ragione della titolarità "mascherata" di quote societarie, classificabili quali redditi di capitale, non avrebbe potuto essere oggetto dell'obbligo di riversamento, essendo questo contemplato esclusivamente in relazione ai compensi percepiti per «incarichi retribuiti», tenuto conto peraltro che la semplice qualità di socio di società commerciale, non è incompatibile e non necessita di autorizzazione. Sul punto, la Corte ha in sostanza replicato che la partecipazione per quote o azioni è consentita a un pubblico dipendente ai soli fini di investimento finanziario e non certo per prestare attività gestionale sistematica quale amministratore di fatto del sodalizio medesimo (giammai autorizzabile), realizzandosi altrimenti un evidente indebito aggiramento del correlato divieto assoluto di legge che finisce per connotare "negativamente" anche lo stesso investimento.
La sentenza della Corte dei conti Toscana n. 152/2020