Accesso al part time, formazione, dovere di esclusività e progressioni verticali
La rubrica settimanale con la sintesi delle novità normative e applicative sulla gestione del personale nelle Pa.
Passaggio da part-time a full-time (e viceversa) solo con consenso del lavoratore
Il datore di lavoro non può modificare unilateralmente l’orario di lavoro, né da tempo pieno a parziale né viceversa. Il rifiuto del lavoratore a cambiare regime orario non può giustificare un licenziamento né sanzioni disciplinari.
La modifica dell’orario di lavoro richiede sempre un accordo scritto tra le parti, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 10142/2018). Lo stesso principio vale anche per l’aumento dell’orario pattuito: serve il consenso del lavoratore, salvo nei casi in cui sia proprio quest’ultimo a chiedere il rientro al full-time.
Anche in caso di trasferimento tra enti pubblici (articolo 31 Dlgs 165/2001), resta fermo il rispetto delle condizioni originarie del contratto, inclusa la tipologia oraria.
Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 10739 del 23 aprile 2025.
Formazione dei dipendenti: quando serve il Cig e quando no
Secondo l’Anac (FAQ C9), non è necessario acquisire un codice identificativo di gara (Cig) quando un dipendente partecipa a seminari o convegni, indipendentemente dal fatto che il costo sia sostenuto dal lavoratore o dall’amministrazione.
Tuttavia, quando l’ente pubblico acquista un corso di formazione rivolto ai propri dipendenti, si configura un appalto di servizi di istruzione (in base all’allegato IX del codice dei contratti pubblici) e, quindi, si applicano le regole sulla tracciabilità dei flussi finanziari previste dall’articolo 25, comma 2, lettera a) del Dl 66/2014.
Violazione del dovere di esclusività e licenziamento disciplinare
La Cassazione con la sentenza n. 9058 del 6 aprile 2025 ha ribadito che la violazione del dovere di esclusività da parte di un dipendente pubblico può comportare una sanzione disciplinare anche se l’attività esterna non viene effettivamente svolta.
Nel caso esaminato, un dipendente era titolare di un’impresa individuale, sebbene inattiva. La sola iscrizione camerale è bastata per confermare la violazione, rilevante anche dopo la rimozione dell’incompatibilità. La Corte ha chiarito che:
la cessazione del rapporto può essere automatica se l’incompatibilità non viene rimossa nei termini;
la responsabilità disciplinare sussiste comunque e va valutata in base al principio di proporzionalità.
Progressioni verticali: modifiche in corso d’opera ammesse solo se ben motivate
Il Tar Campania-Salerno con la sentenza n. 782 del 24 aprile 2025 ha accolto il ricorso di un candidato escluso da una procedura di progressione verticale a causa della riduzione del numero di posti disponibili.
L’ente aveva inizialmente previsto due posti, poi aumentati a tre e infine riportati a due. Il Tribunale ha giudicato incoerenti e insufficienti le motivazioni addotte per l’ultima modifica, ritenendo che, anche in presenza di clausole che consentano variazioni (jus variandi), ogni cambiamento deve essere giustificato con una valutazione seria e documentata del fabbisogno di personale. In caso contrario, il diritto del candidato idoneo alla progressione risulta leso.