Personale

Dirigenti, nessun vincolo orario ma la prestazione deve essere funzionale alle esigenze dell'ente

Si afferma una concezione del tempo di lavoro strettamente correlata alla responsabilità di risultato

di Salvatore Cicala

La mancata previsione, nell'ordinamento giuridico, di un obbligo orario per il personale dirigenziale porta ad affermare che non sussistono profili di illegittimità nel caso in cui il dirigente renda una prestazione lavorativa di durata inferiore a quella obbligatoria per il resto del personale. Resta ferma, tuttavia, la facoltà per gli enti di adottare, con atti di natura gestionale, misure finalizzate a presidiare le proprie esigenze organizzative e gestionali. Queste le principali indicazioni contenute nel parere del dipartimento della Funzione pubblica protocollo Dfp 43784/2020, pubblicato in questi giorni nell'ambito dell'iniziativa «Pareri chiari, in chiaro».

La richiesta di parere
Per il personale non dirigenziale, l'articolo 22 del contratto del 21 maggio 2018, nel riprendere alcuni principi generali, ha confermato che l'orario ordinario di lavoro è di 36 ore settimanali, mentre per il personale dirigenziale le cose sono un po' diverse. La disciplina dell'orario di lavoro della dirigenza (articolo 22 della legge 724/1994 e articolo 16 del contratto del 10 aprile 1996) si basa su un principio di autoresponsabilizzazione del dirigente, cui spetta l'organizzazione complessiva del proprio tempo di lavoro, in modo da assicurare l'espletamento dei compiti che gli sono di appartenenza.
Il comportamento di un dirigente che, in modo sistematico, osserva un orario di lavoro inferiore a quello obbligatoriamente previsto per il restante personale è da ritenersi illegittimo? Questo il dubbio posto da un ente locale direttamente al dipartimento della Funzione pubblica.

La risposta
Per i tecnici di palazzo Vidoni la soluzione va ricercata nell'attuale quadro normativo che regola l'orario di lavoro della dirigenza. L'impianto normativo non prevede alcuna quantificazione dell'orario di lavoro del dirigente, neppure attraverso la definizione di limiti massimi o minimi di durata delle prestazioni lavorative.
Sotto il profilo organizzativo, quindi, il dirigente può determinare in autonomia il proprio orario di lavoro, pur sempre osservando il vincolo delle esigenze operative e funzionali della struttura di cui è responsabile. In altri termini, si afferma una concezione del tempo di lavoro strettamente correlata alla responsabilità di risultato dirigenziale.
Ciò, però, non preclude agli enti di poter adottare sistemi di rilevazione della presenza e dell'assenza dei propri dirigenti, ai fini della valutazione annuale finalizzata all'attribuzione della retribuzione di risultato, oltreché per la gestione di altri istituti contrattuali. La rilevazione non potrà però quantificare l'ammontare orario, ma solo consentire la verifica della presenza e/o l'assenza, proprio perché, come detto, non è prevista per il personale dirigente alcuna quantificazione dell'orario settimanale.
Naturalmente, come osserva il dipartimento della Funzione pubblica, il Dlgs 165/2001 (articolo 21, comma 1) e il vigente contratto nazionale (articolo 3 e 7 del contratto del 22 febbraio 2010) pongono in capo al dirigente l'obbligo di ossere le direttive, anche in materia di presenza in servizio, impartite dagli enti in cui sono incardinati. Direttive che, come precisato dall'Aran in alcuni orientamenti applicativi, sono atti di natura gestionale e dunque di competenza dei soggetti preposti alla gestione (la dirigenza) e non dall'organo di governo. Pertanto, concludono i tecnici di Palazzo Vidoni, non si ravvisano profili di illegittimità nel caso in cui i dirigenti si discostino dall'articolazione dell'orario prevista obbligatoriamente per il restante personale, ferma restando la facoltà per l'ente di adottare misure coerenti con il quadro normativo sopra delineato, al fine di presidiare le proprie esigenze organizzative e gestionali.

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