Il CommentoPersonale

Dirigenti, il nuovo contratto «spinge» per la differenziazione della retribuzione di risultato

di Leonardo Falduto e Marco Rossi

Il nuovo contratto della dirigenza spinge sulla leva della differenziazione della retribuzione di risultato dei dirigenti, nella prospettiva della più efficace implementazione delle logiche della performance, riprendendo la disciplina che era stata introdotta, per il comparto, dal contratto del 21 maggio 2018. Ai dirigenti che conseguano le valutazioni più elevate, infatti, deve essere ordinariamente riconosciuto un importo più elevato di almeno il 30% rispetto al valore medio pro-capite delle risorse destinate alla retribuzione di risultato.

In precedenza le modalità di distribuzione della "quota" del risultato nell'ambito del fondo per il trattamento accessorio dei dirigenti erano definite dai singoli enti sulla base delle soluzioni astrattamente utilizzabili e senza l'esigenza di rispettare delle quote minime di maggiorazione per le migliori performance.
Piuttosto frequente era la scelta "salomonica" finalizzata a riconoscere, a ogni posizione dirigenziale, il medesimo valore potenziale di retribuzione di risultato a prescindere dal livello (peso) degli obiettivi; in alternativa, era possibile valorizzare la ponderazione dei diversi obiettivi nella prospettiva di riconoscere una retribuzione di risultato potenziale maggiore (salvo verifica dei risultati) ai dirigenti con esiti attesi considerati più rilevanti. Meno condivisibile, poi, si presentava l'opzione di legare la retribuzione di risultato alla retribuzione di posizione goduta, in considerazione della circostanza che, così procedendo, si determinava un effetto moltiplicativo dell'indennità di posizione.
In effetti le logiche indicate potevano diversamente tradursi, nella prospettiva di dare applicazione alla soluzione ritenuta preferibile, agendo tanto a livello di contrattazione decentrata, quanto a livello di sistema di valutazione, nell'ambito della definizione della correlazione tra valutazione conseguita e premialità specificamente riconosciuta.

Il nuovo contratto (articolo 30) nella prospettiva della differenziazione esordisce evidenziando che «la retribuzione di risultato è attribuita sulla base dei diversi livelli di valutazione della performance conseguiti dai dirigenti, fermo restando che la sua erogazione può avvenire, nel rispetto delle vigenti previsioni di legge in materia, solo a seguito del conseguimento di una valutazione positiva».
In aggiunta, e in questo risiede il passaggio più significativo, si stabilisce che «ai dirigenti che conseguano le valutazioni più elevate, in base al sistema di valutazione adottato dall'amministrazione, è attribuita una retribuzione di risultato con importo più elevato di almeno il 30%, rispetto al valore medio pro-capite delle risorse destinate alla retribuzione di risultato».

L'entità (effettiva) della maggiorazione è stabilita nell'ambito della contrattazione decentrata integrativa, sede nella quale è altresì determinata una (limitata) quota massima di dirigenti valutati a cui viene attribuito il valore di retribuzione di risultato in misura maggiorata.

Peraltro, la disciplina è disapplicata se il numero dei dirigenti in servizio dell'amministrazione non è superiore a cinque, fermo restando – comunque – che deve essere garantita l'attribuzione selettiva delle risorse destinate al riconoscimento della retribuzione di risultato.

Consequenzialmente, si stabilisce un meccanismo (che deve ritenersi vincolante e prescrittivo rispetto alla migliore definizione del sistema di valutazione della performance) in forza del quale deve essere riconosciuta una maggiorazione – pari almeno al 30% rispetto al valore medio pro-capite della retribuzione di risultato - ai dirigenti che hanno conseguito la migliore performance.

É abbastanza evidente che sono astrattamente ipotizzabili molteplici soluzioni, da quelle più selettive, miranti a riconoscere una forte premialità ad un numero tendenzialmente ristretto di figure dirigenziali a quelle meno selettive, finalizzate a riconoscere la maggiorazione nella soglia minima (30%) ad un numero tendenzialmente più ampio di figure.

C'è anche una scelta alternativa che, sulla base del dettato contrattuale, può essere accolta - e che sicuramente rappresenta una soluzione più innovativa rispetto a quella descritta - che consiste nel mutuare l'impostazione dalle corrispondenti scelte effettuate in relazione al "risultato" del comparto.

Per le modalità con cui si può concretizzare, nonché per le caratteristiche della (diversa) logica accolta, la soluzione alternativa "tollera" il riconoscimento di una maggiorazione più contenuta, corrispondente a un minor valore percentuale, comunque non inferiore al 20%.
Per aprirsi questa opzione è indispensabile, però, che si concretizzi un presupposto specificamente disciplinato dall'articolo 30, comma 5in base al quale è necessario avvalersi della possibilità di correlare l'effettiva erogazione di una quota delle risorse per il trattamento accessorio «al raggiungimento di uno o più obiettivi, riferiti agli effetti dell'azione dell'ente nel suo complesso, oggettivamente misurabili».
In altri termini, è necessario che una parte delle risorse sia legata a obiettivi di ente (quindi riferiti, riprendendo il tenore letterale della previsione contrattuale, agli effetti dell'azione dell'ente nel suo complesso) oggettivamente misurabili: trattasi del noto concetto della performance organizzativa di ente.

Viene in evidenza un approccio che, del resto, appare pienamente coerente con le indicazioni della Funzione pubblica (si pensi alle Linee guida 5/2019) le quali, nell'ambito della performance organizzativa, impongono di "apprezzare" la dimensione legata alla performance di ente, sulla base di appositi obiettivi, indicatori e target iscrivendoli a pieno titolo nel perimetro del Piano delle performance dell'ente.