Urbanistica

Dl Semplificazioni. Focus edilizia privata: il silenzio assenso ora offre certezze

Per il resto, poco incisive e «timide» le altre novità degli articoli 61-63 sul procedimento amministrativo

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di Fabrizio Luches

Il Dl Semplificazioni in vigore dal primo giugno, seppur focalizzato sull'urgenza di imprimere un impulso decisivo allo snellimento delle procedure amministrative in tutti i settori interessati dalle previsioni del Pnrr, al fine dell'intuibile necessità della tempestiva ed efficiente realizzazione degli interventi, al titolo VI prevede anche modifiche alla disciplina generale del procedimento amministrativo di cui alla legge 241/1990. Gli istituti interessati sono il potere sostitutivo (art. 2, commi 9-bis e ter), il silenzio assenso (con l'introduzione del comma 2-bis all'art. 20) e la riduzione a 12 mesi del termine per l'annullamento del provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza (art. 21-nonies). Diversamente dagli istituti previsti nella prima parte del Decreto, dedicati al coordinamento, gestione, attuazione, monitoraggio e controllo del Pnrr, la novella sulla legge 241/1990 sembra soffrire di timidezza, tanto da rievocare il noto brocardo minus dixit quam voluit, foriero della cd. interpretazione estensiva, necessaria ogni volta risulti insufficiente l'interpretazione letterale, e si renda necessaria anche una interpretazione logica delle parole usate dal legislatore.

Potere sostitutivo attivabile anche d'ufficio
La decretazione d'urgenza in commento si limita ad integrare l'istituto recentemente introdotto dall'art. 12 della legge 120/2020, con riferimento ai soggetti cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia, affiancando le unità organizzative alle figure apicali già previste. Precisazione necessaria e urgente solo nel caso in cui l'istituto non avesse già previsto ipotesi di rinvio automatico ad altri organi, mentre risultava già sancito che, nell'ipotesi di omessa individuazione (della figura apicale, ed ora anche dell'unità organizzativa) il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell'amministrazione (cfr. secondo periodo, comma 9-bis, dell'art. 2, l. 241/1990).

La modifica di maggior rilievo sull'istituto è sicuramente la riscrittura del comma 9-ter dell'art. 2 l. 241/90, non tanto per il nuovo riferimento all'unità organizzativa, ma per la previsione della procedibilità d'ufficio, dato che il testo previgente prevedeva unicamente l'attivazione dell'istituto su istanza dell'interessato. Questione non di poco conto se si considera la giurisprudenza intervenuta in materia di indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento, istituto introdotto dall'art. 28 dl 69/2013 (conv. in l. 98/2013), e che dispone espressamente, al fine di ottenere l'indennizzo, l'onere in capo all'istante di «azionare il potere sostitutivo previsto dall'art. 2, comma 9-bis, della legge n. 241 del 1990 nel termine perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento» (cfr. da ultime T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 09/12/2019, n. 5785; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 03/10/2019, n. 11517).

Il mancato coordinamento tra l'articolo 28 l. 98/2013 e le ultime modifiche al comma 9-ter dell'art. 2 l. 241/1990 solleva questioni applicative importanti, basti pensare a tutte le ipotesi in cui, entro il termine perentorio dei 20 giorni, il privato non formuli l'istanza di cui trattasi, ma la Pa proceda d'ufficio e comunque non rispetti il termine per emanare il provvedimento sostitutivo (pari alla metà di quello originariamente previsto), in tal caso rientrando comunque nell'ipotesi generale di indennizzo di cui all'art. 2-bis, comma 1-bis, l. 241/1990.
La querelle è stata affrontata sino ad oggi dalla Giurisprudenza solo in caso di omessa emanazione di pareri obbligatori o valutazioni tecniche o atti endoprocedimentali in genere, ritenendo l'istituto inapplicabile, in quanto è data all'amministrazione procedente la possibilità di concludere, comunque, il procedimento avviato o facendo a meno del parere obbligatorio (ex art. 16 l. 241/90), ovvero attivando poteri sostitutivi mediante il ricorso a valutazioni di altra autorità dotata di pari competenze tecniche (art. 17). Con la conseguenza che la previsione di strumenti di superamento dello "stallo" procedimentale determinato dalla omissione di atti endoprocedimentali impone pertanto di escludere che in tali ipotesi trovi applicazione il rimedio della dichiarazione giudiziale dell'obbligo di provvedere, in quanto il rimedio giurisdizionale risulterebbe superfluo e ridondante rispetto agli accorgimenti già previsti dal legislatore (cfr. T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 06/09/2018, n. 1246; T.A.R. Calabria Reggio Calabria, sez. I, 28/01/2010, n.46).

Le novità sul silenzio-assenso
L'art. 62 d.l. 77/2021 introduce il comma 2-bis all'art. 20 l. 241/1990 imponendo alla Pa, in tutti i casi di silenzio-assenso (cioè quando il silenzio dell'amministrazione equivalga a provvedimento di accoglimento) di rilasciare in via telematica - su richiesta del privato -, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell'intervenuto accoglimento della domanda. La nuova previsione dispone altresì che, decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l'attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell'art. 47 d.p.r. 445/2000.

Probabilmente tale previsione è quella che porterà maggiori benefici applicativi percepibili dai privati, in quanto mira a dare certezza documentale ad una situazione giuridica che, seppur formatasi ex lege in conseguenza dell'inerzia della Pa, a volte richiede comunque la formalizzazione degli effetti giuridici conseguenti, si pensi ad esempio alle compravendite immobiliari, quando l'acquirente pretenda particolari garanzie sul consolidamento dei titoli edili in forza dei quali gli interventi sono stati eseguiti ovvero sull'agibilità dei locali.
Tenendo sempre presente che le disposizioni sul silenzio assenso non si applicano agli atti ed ai procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, a tutti i casi in cui la normativa impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali (es. novazioni soggettive di atti concessori, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 04/01/2018, n. 52; determinazione della rendita catastale definitiva, cfr. Cassazione civile, sez. trib., 09/01/2019, n. 355; autorizzazioni comunali di installazione di cartelloni o mezzi pubblicitari su strada statale, cfr. Cassazione civile, sez. VI, 09/01/2018, n. 285), ai casi in cui la legge qualifica il silenzio della Pubblica amministrazione come rigetto dell'istanza (ad es. sulla richiesta di permesso in sanatoria ex art. 36 d.p.r. 380/2001), nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (ex art. 20 c. 4, l. 241/90), il nuovo istituto potrebbe dirimere molte questioni relative alla segnalazione di agibilità di cui all'art. 25 d.p.r. 380/2001, anche con riferimento al di cui comma 7-bis (aggiunto dalla l. 120/2020) che, per l'appunto, facoltizza la segnalazione, in assenza di lavori, per tutti gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con apposito decreto ministeriale.

La dichiarazione formale della Pa sull'intervenuto accoglimento della domanda per silenzio, dovrebbe risolvere tutte le questioni relative ai dubbi sulla sussistenza delle condizioni igienico-sanitarie, ma anche e soprattutto sull'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici o con il titolo edilizio. Ciò proprio in considerazione dell'esegesi giurisprudenziale secondo cui la mancanza del presupposto della legittimità dell'intero immobile sotto il profilo urbanistico ed edilizio esclude altresì la possibilità di ritenere formato il silenzio assenso sull'istanza, fattispecie che oltretutto non si sottrae alla precondizione della sussistenza di tutti i presupposti perché possa essere emanato un provvedimento favorevole espresso.

Secondo il più recente orientamento, infatti, la previsione normativa secondo cui l'agibilità «si intende attestata», decorso il termine indicato, non configura infatti una vera e propria ipotesi di silenzio assenso in senso tecnico (ex art. 20 l. 241/90), ma dà luogo invece ad una sorta di legittimazione ex lege, che prescinde dalla pronuncia della Pubblica amministrazione e che trova il suo fondamento nella effettiva sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il rilascio del titolo, a cui si affianca la facoltà di declaratoria di inabitabilità (o meglio inagibilità, visto che il Tue non distingue più espressamente l'inagibilità dalla inabitabilità), che può essere effettuata dalla Pa in ogni tempo e non costituisce manifestazione di autotutela amministrativa, ma soltanto attestazione della insussistenza (originaria o sopravvenuta) dei requisiti tecnici necessari per dichiarare agibile un edificio (in tali termini Tar Campania Salerno, sez. II, 03/12/2019, n. 2138). Una dichiarazione formale dell'amministrazione in ordine all'intervenuto accoglimento della domanda (o comunque di compiuta istruttoria sulla medesima) pone una pietra tombale ai dubbi che potrebbero sollevarsi sulla validità del titolo formatosi per silenzio per le ragioni sopra esposte.

La riduzione del termine per l'annullamento d'ufficio
La presente analisi termina con alcune considerazioni in ordine alla riduzione a 12 mesi del previgente termine (18 mesi) stabilito dall'articolo 21-nonies della legge 241/90 per procedere con l'annullamento dei provvedimenti amministrativi adottati in violazione di legge o viziati da eccesso di potere o da incompetenza. Nonostante la novella riduca di ulteriori 6 mesi il termine generale entro cui la Pa, sempre sussistendone le ragioni di interesse pubblico, possa procedere con l'annullamento d'ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo nei casi di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato per silenzio), restano invariate non solo le previsioni (anche per ovvie ragioni di partecipazione e trasparenza) che dispongono l'assunzione preventiva degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, ma anche e soprattutto la natura discrezionale di tale attività.

L'annullamento in autotutela di un provvedimento amministrativo, infatti, non è atto dovuto, ma discrezionale, con la conseguenza che l'amministrazione, ricevuta detta istanza, non è obbligata ad avviare il relativo procedimento, ma nel caso decida di attivare il procedimento di riesame dei propri atti, potrà disporre l'annullamento solo se ricorrano cumulativamente le condizioni previste dall'art. 21-nonies e precisamente: a) che il provvedimento sia illegittimo; b) che sussista un pubblico interesse che giustifichi l'eliminazione dell'atto, poiché l'annullamento può comportare lo stravolgimento di un assetto di situazione fattuale e conseguenti posizioni giuridiche proprie di soggetti pubblici e privati ormai consolidatosi nel tempo, ancorché sulla base di una pregressa azione amministrativa illegittima, dei cui interessi si deve tener conto.

Anche in tal caso, l'intervento d'urgenza operato dal decreto in commento, seppur aumentando la certezza giuridica dei provvedimenti data la riduzione del termine per esercitare il potere di autotutela della Pa, non risulta in grado di risolvere le questioni derivanti dall'assenza di un obbligo giuridico di provvedere, il cui inadempimento possa legittimare l'attivazione delle tutele avverso i rifiuti, le inerzie o i silenzi antigiuridici, in quanto istituto unicamente orientato alle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e alla correlata regola di inoppugnabilità dei provvedimenti amministrativi non tempestivamente contestati (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 29/09/2020, n. 5729 e 07/01/2021, n. 204).

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