Edilizia privata, si riducono le opzioni dopo l'annullamento del titolo
Palazzo Spada: I vizi sostanziali che hanno determinato l'annullamento non permettono la fiscalizzazione
La sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.17 del 7 settembre 2020 è intervenuta a chiarire l'ambito di applicazione dell'articolo 38 del Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001, "Tue"), che prevede la possibilità di evitare la demolizione di una costruzione rimasta sprovvista di permesso di costruire a seguito di annullamento con l'irrogazione (e il conseguente pagamento) di una sanzione pecuniaria. Il Consiglio di Stato ha chiarito in quest'occasione che il ricorso alla sanzione pecuniaria (cd. fiscalizzazione dell'abuso) è una fattispecie che può ricorrere solo in presenza di condizioni ben determinate e non può costituire una forma di "condono" di abusi non prevista dalla normativa.
Di quale abuso stiamo parlando
Esistono diversi tipi di abusi, individuati, classificati e sanzionati dagli articoli 30 e seguenti del Tue nonché da altre disposizioni legislative, come ad esempio gli articoli 169 e 181 del D.Lgs. 42/2004 per le costruzioni difformi o abusive realizzate in zone paesaggistiche, l'art.160 del medesimo D.Lgs. 42/2004 per abusi su beni culturali, gli articoli 68 e ss. del Tue per abusi realizzati in zone sismiche ecc. Questo ampio coacervo di norme esprime un principio costante: la costruzione abusiva deve essere sempre demolita. L'ordinamento italiano, quindi, prevede che la tutela dell'ordinato e legittimo sviluppo del territorio abbia sempre carattere prevalente sulla tutela di altri diritti o interessi dei privati. Esistono, però, dei temperamenti a questo principio cardine: in talune, ben definite e circoscritte fattispecie, l'ordinamento consente il mantenimento in essere dell'abuso a fronte del pagamento di una sanzione amministrativa, la cd. fiscalizzazione dell'abuso.Tra le diverse fattispecie che prevedono l'oblazione di una somma in luogo della demolizione, il Tue include anche quella di una costruzione che, in origine era legittimata da un permesso di costruire che viene successivamente annullato. Questa fattispecie si verifica, per esempio, quando il permesso di costruire è impugnato in sede giurisdizionale da un terzo. È frequente che la sentenza che definisce il giudizio viene emessa a distanza di anni dal rilascio del permesso, quando la costruzione è terminata e l'immobile - di fatto - già utilizzato.
L'annullamento del permesso priva quindi di legittimità la costruzione realizzata che da "immobile legittimo" si ritrova "immobile abusivo". Qual è la sorte di questo immobile? A questa domanda risponde l'articolo 38 del Tue che prevede appunto la demolizione dell'immobile a meno che ricorrano due condizioni: (a) l'impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative e (b) l'impossibilità di restituzione in pristino. Entrambe le condizioni dovranno essere oggetto di una valutazione specifica e motivata dalla Pa. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito cosa debba intendersi per «vizi delle procedure amministrative», superando un orientamento che ammetteva la fiscalizzazione dell'abuso a prescindere dalla tipologia del vizio (procedurale o sostanziale). L'Adunanza Plenaria è di diverso avviso e ha chiarito, nella sentenza n. 17/2020, che i vizi cui fa riferimento l'art. 38 del Tue sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall'amministrazione, risultino di impossibile rimozione. In altri termini, i vizi sostanziali che hanno determinato l'annullamento del permesso non permettono di ricorrere alla sanzione pecuniaria, con la conseguenza che in tali casi la riduzione in pristino sarà inevitabile.
La fiscalizzazione dell'abuso
Come detto, l'ordinamento prevede altri casi in cui è consentito il mantenimento in essere della costruzione (o della parte di essa) realizzata abusivamente a fronte del pagamento di una sanzione pecuniaria. Si tratta di casi ben determinati, fermo restando che la fiscalizzazione dell'abuso non è consentita nei casi di abusi più gravi, ossia quando l'intervento è realizzato in assenza di permesso, in totale difformità, o con variazioni essenziali. L'ordinamento prevede la sanzione pecuniaria nei casi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o di Scia alternativa al permesso (prevista dall'articolo 23 del Tue) o in caso di totale difformità (art. 33 Tue). Anche in questo caso, vale sempre la regola aurea: questi interventi devono essere rimossi o demoliti, con conseguente rimessione in pristino della costruzione. Tuttavia, se l'ufficio tecnico comunale accerta che il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, l'articolo 33 del Tue prevede che il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroghi una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere. La giurisprudenza ha chiarito che l'impossibilità del ripristino occorre, per esempio, quando la demolizione delle parti difformi possa incidere sulla stabilità dell'intero edificio (Consiglio di Stato sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 254).
Immobili vincolati e in centro storico
Disciplina particolare è quella relativa agli immobili vincolati: per essi la legge statale prevede l'irrogazione cumulativa della sanzione demolitoria e di quella pecuniaria. Ma se gli immobili (anche non vincolati) sono compresi nelle zone omogenee A, la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria dipende da una apposita valutazione condotta dall'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali con apposito parere. In questo caso, la valutazione della Sovrintendenza «può essere esercitata nel senso di optare per la demolizione, qualora ritenuta più conveniente per la tutela del patrimonio edilizio del centro storico oppure per la conservazione dell'opera abusiva, accompagnata dall'irrogazione di una sanzione pecuniaria, qualora il ripristino sia valutato negativamente con riferimento al valore culturale dell'immobile» (Tar Roma, sez. II, 04/11/2019, n.12612). Si tratta in ogni caso di soluzioni alternative tra di loro, pertanto, se la Soprintendenza richiede la restituzione in pristino dello stato dei luoghi, l'Amministrazione Comunale non può aggiungere alla sanzione demolitoria anche quella pecuniaria (Tar Roma, sez. II, 04/09/2019, n.10731). Per gli immobili collocati nei centri urbani, quindi, la demolizione non è necessariamente preferibile all'irrogazione della sanzione pecuniaria.
Gli altri tipi di abuso
Altra fattispecie in cui la sanzione pecuniaria è ammessa sono gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla Scia alternativa al permesso (art. 34 Tue) ove, pur valendo sempre la regola della rimozione o demolizione, l'articolo 34 del Tue prevede che quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale. Giova precisare, poi, che il giudizio sintetico - valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell'abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria, può essere effettuato solo quando il soggetto non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine (questa volta non indirizzato all'autore dell'abuso, ma all'ufficio preposto in materia di sanzioni edilizie) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità del permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso; pertanto, solo nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l'ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all'entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria (Tar Napoli - Campania - sez. III, 04/01/2019, n.56).
Dl Semplificazioni: seconda chance in caso di annullamento per vizi
A pochi giorni dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria, è stata pubblicata la Legge n. 120 dell'11 settembre 2020 (di conversione in legge del decreto Semplificazioni) che ha introdotto un nuovo articolo alla Legge sul Procedimento Amministrativo (L. 241/1990), l'art. 21-decies che regola una fattispecie simile a quella di cui all'articolo 38 del Tue. Precisamente l'art. 21-decies rubricato «Riemissione di provvedimenti annullati dal giudice per vizi inerenti ad atti endoprocedimentali» secondo il quale «in caso di annullamento di un provvedimento finale in virtù di una sentenza passata in giudicato, derivante da vizi inerenti ad uno o più atti emessi nel corso del procedimento di autorizzazione o di valutazione di impatto ambientale, il proponente può richiedere all'amministrazione procedente e, in caso di progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale, all'autorità competente ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, l'attivazione di un procedimento semplificato, ai fini della riadozione degli atti annullati. Qualora non si rendano necessarie modifiche al progetto e fermi restando tutti gli atti e i provvedimenti delle amministrazioni interessate resi nel suddetto procedimento, l'amministrazione o l'ente che abbia adottato l'atto ritenuto viziato si esprime provvedendo alle integrazioni necessarie per superare i rilievi indicati dalla sentenza. A tal fine, entro quindici giorni dalla ricezione dell'istanza del proponente, l'amministrazione procedente trasmette l'istanza all'amministrazione o all'ente che ha emanato l'atto da riemettere, che vi provvede entro trenta giorni. Ricevuto l'atto ai sensi del presente comma, o decorso il termine per l'adozione dell'atto stesso, l'amministrazione riemette, entro i successivi trenta giorni, il provvedimento di autorizzazione o di valutazione di impatto ambientale, in attuazione, ove necessario, degli articoli 14-quater e 14-quinquies della presente legge e dell'articolo 25, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152». Si consente quindi una seconda chance a un progetto privato della sua legittimità dopo una sentenza che ne abbia annullato il titolo «per vizi endoprocedimentali». Si tratta dei casi in cui un permesso viene emesso sulla base di un procedimento che non abbia inglobato tutti i nulla osta necessari (atti endoprocedimentali appunto) o in cui i nulla osta, benché emessi, siano stati ritenuti viziati. In questo caso la norma prevede che nel giro di 60 giorni le amministrazioni acquisiscano il permesso mancante o viziato e riemettano il provvedimento precedentemente annullato. Si tratta indubbiamente di una norma ambiziosa ma non certo paragonabile all'articolo 38 del Tue: anzitutto il nuovo articolo 21-decies della L. 241/1990 si applica a tutti i provvedimenti amministrativi e non solo a quelli edilizi. Inoltre questa norma presuppone che i vizi che hanno portato all'annullamento siano non sostanziali in quanto emendabili con l'emissione di un nuovo nulla osta e di un nuovo permesso (anche, eventualmente, modificando il progetto alla base) e non introduce una forma di alternatività tra demolizione e sanzione. Ne consegue che se il permesso annullato non potrà essere riemesso per mancanza di presupposti sostanziali, l'attività oggetto del permesso annullato dovrà inevitabilmente arrestarsi.
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