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Elezioni comunali, tempi e margini stretti per impugnare la proclamazione degli eletti

Non è ammissibile uno spostamento del termine decadenziale per la presentazione del ricorso

di Amedeo Di Filippo

Nel rito elettorale non è ammissibile uno spostamento del termine decadenziale per la presentazione del ricorso neanche in corrispondenza dell'acquisita notizia dell'applicazione di misuri cautelari e nemmeno è ammissibile se si utilizzano le sole risultanze delle indagini penali. È quanto afferma il Tar Calabria con le sentenze nn. 515 e 516 del 10 giugno.

La sentenza n. 515
Entrambe le pronunce riguardano le elezioni tenutesi nel settembre 2020 nel Comune di Reggio Calabria, contestate per presunte gravi irregolarità causate dalla misura custodiale degli arresti domiciliari disposta a carico di alcuni candidati. Il motivo del contendere è tutto nella valutazione della ricevibilità del ricorso, depositato oltre il termine decadenziale di 30 giorni dalla proclamazione degli eletti, tesi che i ricorrenti contestano in quanto la conoscibilità delle azioni non era possibile prima che emergessero le prime notizie sulle investigazioni attivate dalla Procura.
Con la sentenza n. 515, il Tar Calabria non ha condiviso l'assunto, alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale che si fonda sulla peculiare natura del giudizio elettorale e sulle esigenze di celerità sottese. In tale giudizio, si legge nella sentenza, si possono contestare i risultati delle operazioni elettorali solo nel rispetto dei termini perentori previsti dalla legge, che tutela il principio di certezza dei rapporti di diritto pubblico prevedendo il rigoroso termine di decadenza entro il quale gli atti vanno posti in contestazione e decorso il quale i risultati elettorali diventano inattaccabili.
È dunque da considerare irrilevante la circostanza che l'elettore intenzionato a proporre ricorso abbia percepito tardivamente la sussistenza di specifici vizi delle operazioni o non abbia avuto la concreta possibilità di esserne a conoscenza, in quanto l'impugnazione del verbale di proclamazione degli eletti ha rilevanza giuridica nei limiti in cui, entro il termine perentorio previsto dalla legge, sono state proposte censure avverso di esso e non può ammettersi l'ampliamento dopo la scadenza del termine di decadenza.

La sentenza n. 516
Con la sentenza n. 516, il Tar Calabria ha esaminato la diversa prospettiva dovuta al fatto che l'applicazione della misura cautelare consente di considerare provata la falsità dei voti espressi nonché la illegittima designazione dei presidenti di seggio delle sezioni interessate dalle indagini. Da qui l'illegittimità dell'atto di proclamazione degli eletti al consiglio comunale e alla città metropolitana di Reggio Calabria in via derivata.
Il Tar ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile, rilevando il difetto di legittimazione ad agire dei ricorrenti, che non rivestono la qualità di elettori né di candidati alle elezioni del consiglio metropolitano, che è organo di secondo grado. Ai sensi dell'articolo 1, comma 25, della legge 56/2014, infatti, ai fini dell'elezione di quest'ultimo il diritto di elettorato attivo e passivo è riconosciuto in capo ai sindaci e consiglieri comunali in carica, ai quali dunque spetta la legittimazione ad agire avverso gli atti relativi alle operazioni elettorali.

Rito elettorale e giudizio penale
La sentenza n. 516 è interessante anche perché, oltre a confermare che la tardività della prospettazione delle censure rende inammissibile il ricorso, critica il fatto che i ricorrenti si siano limitati a riversare nel ricorso le risultanze delle indagini penali così come confluite nelle ordinanze cautelari, evidenziando la gravità delle condotte rappresentate, ritenute tali da travolgere le elezioni del consiglio comunale. I giudici calabresi replicano però che il giudizio amministrativo, compreso quello elettorale, è indipendente da quello penale e l'esistenza di indagini penali in corso – pur quando, come nel caso di specie, attengano a condotte di rilevante gravità – non vale di per sé a comprovare l'illegittimità dell'atto amministrativo impugnato, dovendo dimostrarsi se e in che misura la condotta illecita abbia portato all'adozione di un provvedimento che sarebbe stato diverso per forma e contenuti. In altri termini, i ricorrenti avrebbe dovuto dare conto, attraverso censure formulate in modo specifico e determinato, di come i fatti e le condotte rilevanti a fini penali si fossero tradotti in profili di illegittimità delle elezioni comunali e, in via derivata, di quelle della città metropolitana.

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