Urbanistica

Friuli Venezia Giulia: lavorare in condizioni «speciali»

Una lunga transizione, tra inerzie, tentativi di riforma e prove di intercomunalità

di Elena Marchigiani

In attesa di un nuovo Piano Territoriale Regionale, la legge regionale 5/2007 opera in un regime transitorio, segnato da continue modifiche e dalla separazione delle disposizioni in materia di edilizia e paesaggio. Non meno complesso è il percorso verso progettualità d'area vasta.

Il Friuli Venezia Giulia è una Regione a statuto speciale, con competenza primaria in materia urbanistica, riconosciutale dalla legge costituzionale 1/1963. Ciò rende il suo percorso normativo particolare. Nel campo della pianificazione si è via via consolidata una struttura di governo del territorio articolata nei livelli regionale e comunale, pur con diversi tentativi e recenti aperture a processi alla scala dell'area vasta. La soppressione delle Provincie, esecutiva dal 2016, è solo uno degli elementi di una storia complessa che, anche se segnata da inerzie, tentativi di riforma rimasti bloccati e modifiche non sempre pienamente coerenti, può offrire utili spunti di riflessione sull'efficacia del permanere di un assetto ‘semplificato' di livelli e strumenti di pianificazione territoriale.

Il complesso percorso degli strumenti della pianificazione regionale
Alla scala regionale, lo strumento vigente è ancora il Piano Urbanistico Regionale Generale (PURG), approvato nel 1978. Utilizzato come riferimento per coordinare la ricostruzione a seguito del sisma del 1976, il PURG è stato il primo redatto nel nostro paese, e presenta contenuti innovativi sotto molti aspetti. Negli anni della sua concezione, il PURG ha anticipato sia le disposizioni in materia di paesaggio della ‘legge Galasso' (431/1985), sia la previsione di forme di pianificazione d'area vasta (Piani Zonali e Piani Urbanistici Comprensoriali), di cui i Piani Regolatori Comunali avrebbero dovuto assumere una funzione attuativa. La mancata redazione da parte della Regione dei Piani Zonali ha però bloccato la realizzazione di un'architettura di governo, che comunque appariva impostata su un meccanismo gerarchico e top-down. Parallelamente, nella fase post-terremoto durata circa vent'anni, gli enti locali hanno assunto un ruolo fondamentale nella ricostruzione e nella pianificazione.

Con la lr 52/1991 (e smi) il quadro degli strumenti di pianificazione è stato riformulato, dando avvio al processo di revisione del PURG. Nel tempo, tali aspetti hanno continuato a essere al centro dell'attenzione, pur con diversi cambi di rotta, sino alla separazione tra pianificazione territoriale e paesaggistica che la lr 14/2013 ha introdotto nella lr 5/2007 – a oggi il principale riferimento normativo in materia urbanistica. Si è così proceduto, da un lato, all'elaborazione del Piano di Governo del Territorio (PGT), approvato nel 2013 ma mai entrato in vigore, e comunque rispondente a una norma in contrasto con il Piano Territoriale Regionale (PTR) previsto dalla lr 5/2007; dall'altro, alla definizione del Piano Paesaggistico Regionale (PPR), approvato nel 2018 e attualmente vigente.

Il quadro legislativo attuale: un prolungato regime transitorio
La situazione urbanistica regionale può essere letta come il risultato dello stratificarsi di diverse riforme legislative, da cui è derivato sia il permanere di tipologie di strumenti pregressi, sia la creazione di un quadro modificato da reiterate revisioni puntuali – ma sostanziali e spesso in deroga all'impianto originario. Il riferimento è non solo al persistere del PURG del 1978, ma anche alle numerose variazioni apportate alla lr 5/2007, il cui percorso attuativo ha subìto un arresto per la mancata entrata in vigore di un nuovo PTR. Le ricadute più evidenti si registrano alla scala comunale. La norma del 2007 aveva infatti previsto una profonda revisione degli strumenti di pianificazione facenti capo ai Comuni, articolandoli – come molte altre leggi di stampo ‘riformista' – in tre livelli, ciascuno con un proprio iter di approvazione: Piano Strutturale (PSC), Piano Operativo (POC), Piani Attuativi (PAC). Nel regime provvisorio connesso all'attesa del PTR – che ormai conta, nella legge 5, ben 5 articoli transitori (dal 63 bis al 63 sexies) – è tornato in vigore lo strumento del Piano Regolatore Generale Comunale (PRGC) previsto dalla lr 52/1991: uno strumento unitario, ma contenente disposizioni di natura sia programmatica che regolativa.

Già la lr 34/1997 aveva infatti modificato la legge 52, stabilendo che il piano si organizzasse in componenti volte a definire, da un lato, obiettivi strategici e contenuti strutturali, dall'altro, disposizioni regolative e conformative dell'uso del suolo, da redigere contemporaneamente nello stesso procedimento, con un'importante semplificazione e contingentamento delle tempistiche di approvazione. Oggi la maggior parte dei Comuni è dotata di PRGC in cui la componente ‘strutturale' nel tempo è diventata sempre più complessa, con contenuti che è stato possibile variamente interpretare in relazione alle diverse caratteristiche ed esigenze dei contesti, anche grazie alla vaghezza delle indicazioni legislative. Non meno utile è stata l'attribuzione, sempre alla parte strutturale, della definizione dei cosiddetti criteri di ‘flessibilità' nella gestione del piano e delle sue varianti: una disposizione a suo tempo innovativa, che ha permesso di correggere errori rilevabili nella stesura del PRGC e di aggiornarlo attraverso un iter di approvazione demandato al solo consiglio comunale.

Tramite successive revisioni della lr 5/2007, il dispositivo della flessibilità è stato però via via ritoccato. Leggi ‘omnibus' (in particolare, la lr 6/2019) hanno stabilito l'ammissibilità di apportare, in maniera semplificata, modifiche al PRGC tutt'altro che irrilevanti per gli impatti sull'occupazione dei suoli e sulla densificazione dei loro livelli di urbanizzazione, soprattutto se (come in questo caso) introdotte sotto forma di ‘deroghe'. Oltre al prolungamento senza scadenza e all'ampliamento delle disposizioni del ‘piano casa', elementi di disorganicità (e di depotenziamento del ruolo previsionale e progettuale degli strumenti di pianificazione) attengono poi all'introduzione – con la lr 19/2009 (e smi) e il relativo regolamento di attuazione emanato nel 2012 – del Codice regionale dell'edilizia, con cui questa materia è stata estrapolata da quella urbanistica disciplinata dalla lr 5/2007. A parte le numerose deroghe agli strumenti urbanistici comunali per ‘incentivare l'edilizia' e il recupero del patrimonio esistente, sono oggi ammessi ingenti ampliamenti e ristrutturazioni con demolizioni e ricostruzioni.

Tra tentativi di aggregazione amministrativa e prove di sovracomunalità
In Friuli Venezia Giulia la pianificazione urbanistica intercomunale e sovracomunale, pur richiamata dalla legislazione attinente al governo del territorio, di fatto non ha ancora trovato piena e formale traduzione. Questo nonostante la frammentazione della regione in 215 Comuni (dei quali più del 70% conta meno di 5.000 residenti) renda evidente la necessità di pianificare in maniera coordinata a un livello intermedio e sovralocale. Al di là della mancanza di una tradizione di piani provinciali e intercomunali (a parte i piani sovracomunali settoriali di carattere ambientale e i Piani Infraregionali per le grandi zone industriali), un fattore che negli ultimi anni ha influito sul mancato avvio di simili processi va riconosciuto anche nei profondi e ripetuti cambiamenti introdotti nell'organizzazione delle autonomie locali.

L'abolizione delle Province e delle Unioni Territoriali Intercomunali
A seguito della legge nazionale 56/2014, la Regione Friuli Venezia Giulia ha provveduto – in virtù del proprio statuto speciale – ad abolire le 4 Province (Trieste, Gorizia, Pordenone e Udine). Tale provvedimento è stato stabilito dalla lr 26/2014, ma è entrato in vigore al termine di un lungo iter, che solo nel 2016 (con la legge costituzionale 1) ha portato al formale riconoscimento da parte dello Stato. Ne è conseguita l'istituzione di 18 Unioni Territoriali Intercomunali (UTI), alle quali sono state attribuite molte funzioni prima in capo ai Comuni, tra le quali l'esercizio in forma associata della pianificazione territoriale. Alle amministrazioni locali non è stato però lasciato nemmeno il tempo di riorganizzare le proprie strutture in rapporto alla nuova architettura amministrativa. Mutato l'assetto politico, nel 2019 la nuova consigliatura ha approvato la lr 21, in cui le UTI sono state sostituite dagli Enti di Decentramento Regionale (EDR), corrispondenti ai territori delle vecchie Provincie. Ai Comuni è oggi attribuita la possibilità di ricorrere a diverse tipologie di strumenti/accordi per la gestione in forma associata delle funzioni e dei servizi di loro competenza: la Convenzione, la Comunità, la Comunità di montagna. In tutto questo processo, manca tuttavia una chiara attribuzione delle competenze in materia di pianificazione d'area vasta.

Progettualità integrate d'area vasta
Ciò nondimeno qualcosa si sta muovendo, pur in assenza di una chiara visione territoriale alla scala regionale, e di un esplicito quadro di coordinamento tra settori e ambiti di pianificazione. Ad esempio, sono in corso di realizzazione circa trenta Progetti attuativi Integrati del Piano Paesaggistico (PIP) che coinvolgono un'ottantina di Comuni, dei quali più della metà presentatisi in forma consorziata.

Nella stessa direzione stanno procedendo alcune amministrazioni comunali nell'ambito dei Contratti di Fiume (CDF). Introdotti in Friuli Venezia Giulia nel 2015, a oggi due sono le Dichiarazioni di Intenti giunte a formalizzazione con la Regione (CDF del Natisone, CDF per il Rio Roiello di Pradamano), mentre è in atto il processo verso il CDF del Cormor.
Un ulteriore importate ambito di possibile pianificazione e programmazione integrata riguarda l'implementazione della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI). Tre sono le aree perimetrate come Progetti d'Area della SNAI, per un totale di circa 58.000 abitanti (Dolomiti Friulane, 15 comuni; Alta Carnia, 20 comuni; Canal del Ferro – Val Canale, 8 comuni). A novembre 2020, soltanto la strategia SNAI per l'Alta Carnia risultava approvata a livello nazionale, mentre le altre due erano alla firma dei diversi Ministeri. Attualmente sono certi i finanziamenti dei fondi strutturali, meno quelli dei fondi nazionali, con pesanti ricadute sull'attuazione delle azioni relative ai servizi (educazione, salute, mobilità e trasporti). Altrettanto problematica appare, in mancanza di un quadro strategico territoriale, l'integrazione spaziale delle azioni previste. Una criticità, quest'ultima, che nel caso dell'Alta Carnia è solo in parte attenuata dal precedente avvio di un percorso di pianificazione strutturale intercomunale, reso possibile dal progetto Susplan (Interreg Italia-Austria 2007-13).

Ulteriori considerazioni sulle "terre di mezzo"
Il Friuli Venezia Giulia è classificato per il 43% come montagna (5,2% della popolazione totale) e per il 19,2% come collina (35,4% della popolazione totale). I temi del bilanciamento territoriale sono sempre stati al centro del dibattito sulla pianificazione regionale. Nel tempo, tuttavia, i divari si sono fatti sempre più evidenti nella forma di squilibri sociali ed economici. Se la copertura delle aree SNAI appare rilevante, non meno pervasiva è la presenza delle cosiddette ‘terre di mezzo': ulteriori e variegate situazioni, punteggiate da centri di piccole dimensioni e insediamenti dispersi che, pur non avendo ancora raggiunto condizioni estreme di crisi, faticano ad adattarsi al mutare di assetti e processi, e che ancora risultano prive di un riferimento a specifiche politiche territoriali. La forte frammentazione in Comuni di piccole e piccolissime dimensioni, unitamente alle incertezze dell'architettura istituzionale preposta a favorirne l'aggregazione sono tra i fattori che hanno contribuito a rendere particolarmente difficile la costruzione, dal basso e in forma coordinata, di quadri strategici territoriali. Anche per le difficoltà dei Comuni a coordinarsi e gestire processi complessi, se lasciati soli di fronte a sfide ambientali, economiche e sociali sempre più complicate, il rischio è in sostanza che simili contesti aggravino le proprie condizioni di marginalità.

LA SCHEDA SULLA LEGGE URBANISTICA VIGENTE E I DATI DELLA REGIONE a cura di Elena Marchigiani

DOSSIER URBANISTICA. Le 21 leggi regionali a confronto, con testi aggiornati, i commenti degli esperti e le schede di sintesi

BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA

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