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Hotel, resta l'interesse dei brand ma nel 2023 domina la prudenza

L'Italia è nel radar dei gruppi internazionali: 1,6 miliardi di euro sono arrivati lo scorso anno. Crisi e tensioni ritardano molte operazioni

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di Laura Dominici

Il brand Anantara che acquisisce il Grand Hotel Convento di Amalfi ed Lvmh che sbarca in Costa Smeralda sono solo gli esempi più recenti, in ordine di tempo. Il 2022 si è concluso con un volume di transazioni immobiliari-alberghiere pari a 1,6 miliardi. Gli investitori internazionali continuano a guardare con molta attenzione all'asset class degli hotel, anche se l'anno appena trascorso «non è risultato brillante come si prospettava ad inizio anno». A parlare è Francesco Calia, head of hotels di Cbre Italy, che fa il punto sul real estate alberghiero, stimando un 2023 in linea con l'anno precedente.

I volumi degli ultimi tre anni
Il volume investito nel 2022 è stato inferiore ai due miliardi conseguiti nel 2021, «ma non si tratta di un dato allarmante – precisa il manager – e rappresenta comunque il terzo miglior anno degli ultimi dieci, considerando l'anno record del 2019 con 3,6 miliardi di volumi, grazie alla grande transazione Belmond che da sola rappresentava un valore superiore a un miliardo di euro». Il 2021 è stato il secondo anno per importanza, seguito dal 2022. Certo le prospettive per l'anno appena passato «erano positive fino al secondo trimestre – sottolinea Calia – con tanto prodotto, poi c'è stato l'effetto ritardato dell'inizio della guerra in Ucraina, che ha condotto all'inflazione, al fenomeno dell'aumento dei costi e dei tassi di interesse». Una contingenza politico-economica che ha interrotto alcune operazioni e ne ha rallentate delle altre. Roma si è conquistata la posizione di regina, con oltre il 40% di share di investimenti. Anche per colmare il gap con Milano. Un altro dato che continua a crescere è quello che riguarda la quota di transazioni nei resort, che per Cbre è pari al 41%, «in linea con la Spagna, tradizionalmente destinazione da resort, e che riconferma l'interesse per il nostro mercato, sia nel breve che nel medio periodo».Un altro elemento che si evince dall'analisi delle transazioni nel real estate alberghiero è che quelle su Roma sono state soprattutto transazioni value add, ossia operazioni che hanno riguardato conversioni di immobili ad uso alberghiero o sviluppi ex novo. «La quota che riguarda le operazioni value add – dichiara Calia – è stata pari al 70% del volume investito, uno share che è andato crescendo negli ultimi cinque anni, anche in piena fase Covid. Di riflesso sono venute meno le transazioni core su immobili esistenti, funzionanti a reddito, la cui quota è scesa dal 40-45% al 18-20 per cento».

Le previsioni 2023
Il 2023 viene visto come un anno in cui si porteranno avanti operazioni pregresse, avviate l'anno prima, e in cui ci si concentrerà anche sul nuovo prodotto. «Nelle previsioni degli investitori – spiega ancora il manager – il primo semestre 2023 non sarà dei migliori, caratterizzato da un atteggiamento wait & see per ragioni legate al mercato dei finanziamenti, del debito e dell'inflazione». Ci sono però già segnali incoraggianti di trend di leggera ripresa in arrivo dagli Stati Uniti con un'inflazione stabilizzata. «Si aspetta questo effetto anche in Europa e Italia – annuncia Calia, che vede una continuità con la chiusura d'anno 2022. –. Nel secondo semestre, se le manovre e le azioni in atto genereranno gli effetti sperati – annuncia – ci potrebbe essere una ripresa. Un andamento che potrebbe essere speculare al 2022, ma al contrario, con una stima di pareggio per l'anno». Per quanto riguarda gli investitori, l'osservatorio Cbre rileva che i fondi pensione e assicurativi attualmente sono fermi e stanno piuttosto guardando a prodotti alternativi al real estate, mentre si rafforza la componente internazionale. «Rappresentano la grande forza del mercato, con un peso passato dal tradizionale 65-70% all'80% di capitali esteri degli ultimi anni».Se nel 2022 i rendimenti degli immobili alberghieri sono cresciuti di mezzo punto circa, come media nazionale, passando da un 4,5 ad un 5% circa alla chiusura dell'anno scorso, nel 2023 l'andamento previsto è lo stesso. Per quanto riguarda, infine, il fenomeno atteso delle azioni di distress legate al tema delle difficoltà di finanziamento, «questo trend non si è verificato per due motivi – spiega –: il settore alberghiero italiano è in capo a famiglie e proprietari storici che hanno un livello di leva finanziaria molto basso, si tratta di operazioni che sono state ammortizzate negli anni. Inoltre, da un punto di vista operativo-gestionale, gli hotel sono andati molto bene, con una crescita nelle performance di fatturato che ha compensato i costi gestionali ed energetici, superando questi ostacoli e raggiungendo una profittabilità positiva, portando liquidità nelle società di gestione, che spesso si identificano nelle proprietà».Per il 2023 resta l'interesse prevalente sui quattro mercati urbani principali (Milano, Venezia, Firenze e Roma in primis) e poi alcuni mercati da resort come Sardegna e Puglia. In montagna Cortina è appetibile grazie alla riqualificazione generale del patrimonio alberghiero, poi ci sono altre aree spot come il Lago di Como e la zona di Taormina.Se lo scorso anno il tasso di occupazione camere ha avuto un forte rimbalzo, grazie anche alla componente straniera e, in particolare, agli americani, molto presenti nelle città d'arte grazie all'euro debole sul dollaro, «c'è ancora un gap nelle performance di occupazione sulla chiusura 2022 in riferimento al 2019 (anno molto performante) – commenta Calia –. Il Revpar (rendimento per camera disponibile) è però stato trainato da un ricavo medio schizzato in modo importante tra il +5 e il +40 per cento». Nei mercati primari e nelle città d'arte la stima è di una stabilità del ricavo medio tra il +30-40 per cento.

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