Fisco e contabilità

Imu 2023, l’acconto evita (per ora) i rincari: rata da 10,5 miliardi

Versamenti sospesi nei Comuni alluvionati. Le delibere in aumento si pagano a saldo. Esenzione per i coniugi con residenze divise

di Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste

L’acconto Imu del prossimo 16 giugno chiamerà a raccolta 10,5 miliardi di euro. Almeno 450 milioni in meno dello scorso anno – si può stimare – perché mancheranno all’appello i versamenti dei territori di Emilia-Romagna, Marche e Toscana colpiti dalle alluvioni.

Gli immobili esonerati ora dall’imposta (in Comuni e frazioni elencati dal Dl 61/23) si ritroveranno però a dover pagare l’acconto entro il 20 novembre, senza sanzioni e interessi, ma comunque in un’unica soluzione; e meno di un mese prima del saldo. Questo dice il decreto Alluvioni pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 1° giugno. Rinvio a parte, gli edifici inagibili hanno una riduzione Imu del 50%; ma non è escluso che possano arrivare altre norme ad hoc a livello nazionale o comunale.

Alla cassa con le regole 2022

L’acconto Imu 2023 si paga in base alle regole del 2022: cioè «applicando l’aliquota e la detrazione (per le sole prime case di pregio, Ndr) dei dodici mesi dell’anno precedente». E gli eventuali aumenti decisi dai Comuni per il 2023 avranno effetto solo per il saldo (il versamento è previsto per lunedì 18 dicembre, perché il 16 cade di sabato). Insomma, il conto da pagare adesso è quello riferito al primo semestre, ma con le vecchie regole, perciò se una seconda casa è stata acquistata – poniamo – il 1° aprile, l’acconto andrà calcolato applicando le aliquote 2022 a un periodo di tre mesi.

Le amministrazioni locali hanno tempo fino al 14 ottobre per inviare le proprie delibere al Mef, che dovrà poi pubblicarle entro il 28 ottobre. Così le delibere di molti Comuni per il 2023 non sono ancora approdate sul sito ufficiale delle Finanze (l’unico ad aver valore legale: www.finanze.gov.it). Mancano ancora, ad esempio, le decisioni di Roma, Milano, Bologna, Napoli e Bari. Tra i grandi centri che hanno già deliberato, la maggioranza sta confermando il prelievo 2022, come accaduto tra l’altro a Perugia, Palermo, Genova e Firenze (che ha solo eliminato l’aliquota ridotta riservata ai locatori che tagliavano di almeno il 30% il canone dei locali commerciali, introdotta nel triennio 2020-22 per l’emergenza Covid).

Si affacciano gli aumenti

L’inflazione che ha colpito anche il costo delle forniture acquistate dagli enti locali – a partire dalla bolletta energetica – potrebbe spingere alcuni consigli comunali ad alzare la pressione fiscale sugli immobili. Ma molte città non potranno aumentare l’Imu, perché hanno già le aliquote al massimo da anni.

Tra i centri che hanno già formalizzato un aumento dell’Imu per il 2023 c’è Ravenna, che lo scorso 30 marzo ha portato dall’1 all’1,06% l’aliquota sui capannoni (fabbricati del gruppo catastale D) e sui terreni agricoli non affittati, introducendo anche l’Imu allo 0,1% sui fabbricati rurali strumentali. Ravenna, però, è anche uno dei Comuni alluvionati, in cui il versamento dell’acconto è sospeso, e per il saldo 2023 dovrà fare i conti con la situazione post emergenza.

Per un bilancio generale bisognerà attendere l’autunno, ma la prima impressione è che gli aumenti si concentreranno nei centri di provincia in cui storicamente il prelievo era rimasto sotto i massimi o c’erano più agevolazioni. Qualche esempio. Rincari sono in arrivo in Brianza, a Cesano Maderno (con l’aliquota ordinaria dallo 0,94 all’1,04% e altre modifiche per ora solo pubblicate sul sito comunale) e a Lissone (dallo 0,93 all’1,06%, anche qui in attesa di pubblicazione sul sito ministeriale). Altri rincari coinvolgono Agliana (Pistoia), che aveva già l’aliquota ordinaria al massimo dell’1,06% e ha ridotto la casistica delle agevolazioni. E Novi di Modena, dove il prelievo base resta all’1,06%, ma passa dallo 0,86 allo 0,9% l’Imu sulle case locate a canone concordato e gli immobili produttivi usati direttamente dal proprietario.

Prime case (singole e doppie)

Per l’abitazione principale è confermata l’esenzione (tranne le case di pregio in categoria A/1, A/8 e A/9). Vale circa 4 miliardi e dal 2016 ha sempre tenuto il gettito totale dell’Imu – e della Tasi fino al 2019 – nell’ordine dei 20-21 miliardi. Con l’acconto di quest’anno, però, entra a pieno regime la regola fissata dalla Corte costituzionale per i coniugi con residenza in due case diverse: se la divisione non è fittizia, scatta l’esenzione su entrambi gli immobili.

L’Imu, tra le altre particolarità, non si paga neppure sui beni merce delle imprese (costruiti, invenduti e non locati). E non occorre comunicare le variazioni di valore delle aree edificabili

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