Appalti

L'assegnazione di spazi pubblicitari non è una concessione di servizi

Lo ha stabilito il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana

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di Pietro Verna

La concessione di spazi pubblicitari è una concessione di un bene e non una concessione di servizi, tant'è che i concessionari forniscono «una prestazione tipicamente oggetto di un mercato concorrenziale e rispetto alla quale l'ente pubblico si limita a offrire uno spazio ulteriore per la relativa erogazione». Il che implica l'inapplicabilità del meccanismo di revisione delle condizioni contrattuali previsto dall' articolo 165, comma 6, del Dlgs 50/2016 («il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio») dal momento che il concessionario non assume il rischio operativo di cui all' articolo 3 comma 1, lett. zz) del medesimo codice («si intende rischio operativo […] il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell'offerta o di entrambi, trasferito all'operatore economico»).
Lo ha stabilito il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (sentenza 16 marzo 2022 n. 306), che ha confermato la sentenza con la quale il Tar di Palermo si era pronunciato sulla richiesta avanzata dalla società aggiudicataria della concessione di spazi pubblicitari del Comune di Caltanissetta di procedere alla revisione del prezzo e/o all'adeguamento del contratto, per sopravvenuta onerosità ascrivibile all'emergenza sanitaria Covid-19.

L'appellante aveva impugnato la sentenza del Tar per due motivi. In primis per violazione dell'articolo 165, comma 6, del codice dei contratti pubblici: l'amministrazione comunale avrebbe dovuto rideterminare le condizioni di equilibrio della concessione «per il verificarsi di fatti non riconducibili alla società aggiudicataria e del tutto imprevisti ed imprevedibili». In secondo luogo perché il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto dell' articolo 1664 del codice civile («Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni [di costi] tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo») nonché dell'articolo 1467 dello stesso codice («…se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto»).
Norme che il Tar avrebbe dovuto applicare in base all'articolo 30, comma 8, del codice dei contratti pubblici: «Per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento […] si applicano le disposizioni del codice civile». Tesi che non ha colto nel segno.

Il Collegio ha richiamato l'orientamento secondo cui la concessione di spazi pubblicitari destinati alla affissione è una concessione di beni pubblici «per l'esercizio di attività economiche private» (Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 9 febbraio 2011 n. 894; Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 529 del 2009) e ha evidenziato che «oggetto del rapporto negoziale non è un servizio pubblico reso all'utenza per la soddisfazione di interessi generali o comunque per le finalità ritenute meritevoli di tutela e di cui l'Amministrazione abbia ritenuto di farsi carico e di erogare o comunque di gestirne l'erogazione», trattandosi di un «contratto attivo dell'Amministrazione, alla quale viene pagato un prezzo da parte del concessionario per l'utilità ricevuta».

Il Collegio si è pronunciato in senso contrario anche sull'applicabilità degli articoli del codice civile richiamati dall'appellante. I giudici hanno affermato che i principi di imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità, applicabili ai contratti attivi ai sensi dell'articolo 4 del Dlgs n. 50 del 2016, non consentono all'amministrazione di modificare le condizioni contrattuali pubblicizzate in sede di gara, pena la violazione dei principi di competitività che la informano (in senso conforme l'atto di segnalazione dell'Autorità nazionale anticorruzione 8 luglio 2020 n. 7 concernente la disciplina adottata per far fronte all'emergenza sanitaria da Covid-19 e, in particolare, gli effetti delle misure anti-contagio sui contratti pubblici in corso di affidamento), fermo restando che:
• la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità non può essere invocato direttamente dalla parte che subisce il peggioramento imprevedibile delle condizioni contrattuali dal momento che l' articolo 1467 del codice civile tale precisa che «la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto»;
• «la qualificazione dell'oggetto della gara in termini di concessione di bene osta all'applicazione dell'istituto articolo 1664 del codice civile» dal momento che tale norma disciplina il contratto di appalto.

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