L’Imu sui capannoni è costo inerente: stop all’indeducibilità integrale
La Consulta riconosce il percorso che poterà dal 2022 allo sgravio totale
È illegittima l’indeducibilità dell’Imu degli immobili strumentali dal reddito d’impresa e di lavoro autonomo, ma solo per il 2012. Per le annualità successive, invece, poiché il legislatore ha iniziato un percorso virtuoso che condurrà all’integrale deduzione dell’imposta, anche alla luce della salvaguardia degli equilibri di bilancio, la disciplina di legge resta valida ed efficace.
Con un comunicato stampa, la Corte costituzionale anticipa gli esiti del giudizio di legittimità attivato dalla Ctp di Milano, annunciando il deposito delle motivazioni della sentenza nelle prossime settimane.
Si tratta dunque di una pronuncia destinata a deludere le aspettative degli operatori. Se si considera che il termine per la proposizione delle istanze di rimborso delle imposte sui redditi è di 48 mesi dal pagamento, è del tutto evidente che i contribuenti che non vi avessero proceduto per tempo non avranno alcun beneficio dalla decisione in esame.
In base all’originario articolo 14, comma 1, Dlgs 23/2011, l’Imu era del tutto indeducibile dal reddito d’impresa e di lavoro autonomo. Questo regime è tuttavia mutato già a partire dal 2013, per effetto della legge di bilancio 2014 (legge 147/2013), che ha disposto la deducibilità al 30%, per l’esercizio 2013, e poi al 20%, per gli esercizi successivi, con riferimento all’imposta gravante sui soli beni strumentali. La deduzione al 20% è rimasta in vigore fino all’esercizio 2018. A partire dal 2019 è iniziato un periodo di avvicinamento alla deducibilità integrale del tributo, durante il quale si è passati dalla misura del 50% (anno 2019) a quella del 60% (anni 2020 e 2021), per giungere, con riferimento all’anno 2022, all’obiettivo della piena deduzione (legge 160/2019).
In costanza di tale avvicendamento legislativo, si è sempre dubitato della legittimità costituzionale del regime dell’Imu, essenzialmente in ragione del fatto che, trattandosi di costo, per sua natura, necessariamente collegato con l’esercizio d’impresa, lo stesso non poteva non concorrere, in negativo, alla determinazione del relativo reddito. Il reddito d’impresa, come quello di lavoro autonomo, è una grandezza “netta”, che si assume cioè sempre tenendo conto dei costi sostenuti per la sua produzione.
Questa tesi è stata condivisa dalla Corte costituzionale secondo cui, a quanto si apprende dal comunicato stampa, una volta che il legislatore ha individuato l’indice rappresentativo della capacità contributiva, non può poi adottare misure che si rivelino irragionevoli rispetto all’indice prescelto. E sotto questo aspetto, la Consulta conferma che l’Imu è senz’altro costo inerente alla produzione del reddito e quindi, in linea di principio, deducibile.
Con riferimento agli anni successivi al 2012, però, il giudice delle leggi prende atto del progressivo superamento del regime di indeducibilità, fino al raggiungimento della piena deduzione, e ne dichiara la compatibilità con la Carta costituzionale, in quanto giustificato dall’equilibrio di bilancio. Il risultato finale, dunque, è che la declaratoria di illegittimità vale solo per il primo anno di applicazione del tributo comunale.