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La Cassazione ribadisce: l'appaltatore è tenuto a integrare le lacune del progetto di gara

Per la Corte il costruttore non è un semplice esecutore. Non si dimentichi, però, il giusto bilanciamento dei reciproci oneri ed obblighi delle parti

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di Fabio Di Salvo

In una recentissima pronuncia (Sezione I civile, ordinanza numero 3839 del 15 febbraio 2021), la Cassazione è tornata sul tema degli errori e delle carenze della progettazione predisposta dalla stazione appaltante e sui principi generali che governano la collaborazione e cooperazione fra la parti di un'opera pubblica (appaltante ed appaltatore).

In particolare, la Corte di legittimità afferma: «In materia di appalto di opere pubbliche le mancanze della progettazione esecutiva – uno dei livelli, insieme a quella preliminare e definitiva, alla cui completezza ed efficienza si accompagna lo svolgimento di correlate attività ed allegazioni documentali - riferibili alla stazione appaltante rientrano in un percorso che, guidato dall'osservanza dei canoni di diligenza e buona fede, definisce delle parti, stazione appaltante ed impresa appaltatrice, reciproci adempimenti al fine della realizzazione dell'opera pubblica.

L'impresa appaltatrice non può essere esonerata dall'osservanza degli oneri di collaborazione denunciando, nella presupposta staticità della dedotta violazione, l'inadempimento maturato nella precedente fase per non avere la committenza pubblica allegato, agli atti di gara, la documentazione tecnica di corredo al progetto esecutivo. L'appaltatore è comunque chiamato, infatti, nella successiva fase di realizzazione dell'opera pubblica, a far fronte all'iniziale mancanza del bando di gara per una condotta contrattuale che, dinamica, resta sorretta nel suo svolgimento dall'osservanza delle regole di diligenza e buona fede».

A ben vedere, i giudici di Piazza Cavour hanno inteso rinverdire un concetto più volte espresso dalla giurisprudenza: l'appaltatore di opera pubblica non è un mero esecutore («nudus minister») della volontà espressa dagli ausiliari tecnici della stazione appaltante, bensì un operatore qualificato, il cui obbligo di diligenza, ai sensi dell'art. 1176, co. 2, cod. civ., si estrinseca nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, comprese le competenze tecniche funzionali, al controllo e alla correzione degli eventuali errori del progetto fornitogli dal committente. (così Trib. Crotone, 5 giugno 2020, sent. n. 475; Cass. Civ., 15732/2018; Consiglio di Stato, Sez. V, 3884/2012; Cass. Civ., 3932/2008).

In tale ambito si colloca anche il c.d. «verbale di cantierabilità», previsto dall'art. 106, co. 3, Dpr 207/2010 e, in epoca più risalente, dall'art. 71, co. 3, Dpr 554/99, per mezzo del quale appaltante ed appaltatore danno atto del permanere delle condizioni che consentono l'immediata esecuzione dei lavori e che quindi «ha carattere imperativo e rappresenta il logico sviluppo del puntuale dovere cognitivo, quanto alla conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sulla formulazione dell'offerta e sull'esecuzione dell'opera, che il comma 2 della medesima disposizione pone a carico dell'appaltatore».

È bene evidenziare, tuttavia, come i principi di massima sopra esposti trovino un doveroso e speculare limite nell'onere di leale collaborazione e cooperazione che grava sulla stazione appaltante nei confronti dell'appaltatore e, soprattutto, nello specifico obbligo – discendente dalla normativa – di completezza ed esaustività della progettazione esecutiva posta a base di gara.

Il progetto in relazione al quale viene bandita la gara per l'affidamento dei lavori di realizzazione deve essere predisposto in maniera completa e adeguata rispetto alle prescrizioni riferibili al principio di buona esecuzione, così da consentire un'esecuzione dell'opera in modo conforme alla regola dell'arte (cfr. in proposito deliberazione AVCP n. 4 del 31 gennaio 2001).

Se si accogliesse un'interpretazione letterale ed "asettica" dei doveri dell'appaltatore quale operatore qualificato – interpretazione che l'ordinanza qui in commento sembra prediligere – l'obbligo dell'amministrazione di predisporre la progettazione esecutiva in termini di completezza ed adeguatezza rimarrebbe privo di sanzione, perdendo il carattere della giuridicità.

Sul punto si segnala l'orientamento giurisprudenziale della Corte di Appello di Roma, sentenza del 25 gennaio 2011 n. 262, confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza del 17 ottobre 2014 n. 22036, secondo cui «va rilevato che le generiche dichiarazioni di presa visione dei luoghi, di conoscenza del progetto e di eseguibilità dello stesso, rese di norma dall'appaltatore in sede di gara e ribadite nei contratti, presentano un limitato valore, e richiedono una puntuale verifica del grado di effettiva conoscibilità delle specifiche previsioni delle stesse e del progetto. La migliore dottrina e la prevalente giurisprudenza attribuiscono infatti a tali dichiarazioni un valore limitato, non essendo consentita all'appaltatore quella libertà ed ampiezza di indagini che sono possibili solo all'amministrazione».

Occorre, dunque, un equo bilanciamento dei reciproci doveri dei protagonisti della realizzazione di un'opera pubblica, affinché ciascuno persegua lo scopo essenziale di qualsiasi lavoro: l'ultimazione dello stesso nei tempi contrattuali e la sua realizzazione a perfetta regola d'arte. Ciò è possibile solo integrando – nella giusta ottica, peraltro suggerita dalla prassi, oltre che dalle norme - gli interessi pubblicistici con quelli, altrettanto meritevoli di tutela, dell'operatore economico

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