Urbanistica

La riforma progressiva del governo del territorio della Liguria, tra semplificazione delle procedure e aggiornamento dei contenuti

Mentre la natura dei piani urbanistici va cambiando, si amplia il quadro degli strumenti alternativi al piano

di Giampiero Lombardini

Il processo di riforma si incardina da un lato sugli interventi di modificazione della legge 36/97, con innovazioni, ad esempio, in materia di perequazione e dotazioni territoriali, dall'altro su provvedimenti legislativi a contorno, di natura diversa, che vanno dalla VAS al piano casa, fino alla legge del 2018 sulla rigenerazione urbana.

La legge regionale n. 36 del 4/09/1997 è stata la prima legge organica in materia urbanistica. Essa si era data carico dell'esigenza di comporre entro un testo unico varie leggi in materia urbanistica in allora vigenti, soprattutto attraverso l'abrogazione delle previgenti normative regionali (e cioè di 16 leggi regionali, di cui 13 integralmente) e la reinterpretazione di quelle statali (a cominciare dalla Legge urbanistica n. 1150/1942 come modificata dalla Legge 765/1967 e dalle norme emanate successivamente in sua attuazione), avendo come obiettivo quello i di una sostanziale razionalizzazione del sistema, con l'obiettivo di un più efficace ed efficiente governo del territorio. La legge in argomento risultava caratterizzata, in origine, da un sistema dei rapporti tra la Regione e le Amministrazioni locali, improntato ai principi della pari dignità (sussidiarietà) e della leale collaborazione tra gli Enti di diverso livello. In questa prospettiva, non solo veniva ridisegnato il quadro degli strumenti di pianificazione, dal livello regionale a quello comunale, passando per le Province (ed accogliendo in questo senso i contenuti della riforma delle autonomie locali della L. 142/1990), ma introducendo anche una serie di strumenti di concertazione sia tra Enti che tra Enti pubblici e privati. In proposito si segnalano le disposizioni che introdussero gli Accordi di Pianificazione e le Conferenze dei Servizi, ma anche le "Conferenze di Pianificazione", volte ad assicurare la partecipazione attiva di tutte le Amministrazioni agli atti di pianificazione territoriale ai suoi diversi livelli, in un reciproco scambio di idee e proposte rapportate alle esigenze di ciascuna comunità locale.

Con riferimento al livello regionale, l'obiettivo fu quello di mantenere in capo alla Regione soltanto quelle funzioni che, per loro natura e rilevanza, non potevano essere trasferite o delegate ad altri Enti e cioè a quelle scelte di pianificazione strategica volte all'organizzazione generale del territorio nelle sue componenti paesistico-ambientale, insediativa e infrastrutturale che, per la loro natura, portata e complessità presuppongono e richiedono una regia unica.

La legge regionale in materia urbanistica (LR 36/1997), pur essendo stata emanata a valle della proposta di riforma INU del 1995 (che introduceva la proposta di suddividere il piano urbanistico comunale in due atti distinti, uno di natura strutturale e l'altro operativo) ha seguito solo parzialmente tale indirizzo generale, producendo una riforma dello strumento urbanistico comunale (che da PRG diventa PUC, ovvero Piano Urbanistico Comunale) e degli strumenti sott'ordinati di tipo attuativo, che ne aggiornava solo in parte i contenuti rispetto a quelli stabiliti dalla LUN 1150/42. Per quanto riguarda invece la pianificazione di area vasta, si trattò di una rivisitazione più profonda, avvenuta attraverso l'introduzione di specifici strumenti sia per il livello regionale, dove si introdusse la figura del Piano Territoriale Regionale che andò a sostituire i piani territoriali di coordinamento in allora normati da specifica legge (LR 39/84); sia per quello provinciale, dove si era invece prevista, in accordo con la L.142/1990, una funzione di coordinamento (PTCp: Piano Territoriale di Coordinamento provinciale).

Proprio attraverso la legge di disciplina dei Piani territoriali di coordinamento del 1984, la Regione aveva prodotto nel tempo diverse significative esperienze, tra le quali va ricordato innanzi tutti il Piano Territoriale di Coordinamento dell'Area Centrale Ligure (che ebbe ripercussioni significative sulla pianificazione di livello locale in molte realtà comunali, con previsioni di efficacia ancora attuale), oltre ad una pletora di altri piani focalizzati su aree-tema specifiche, riguardanti temi (ad esempio la pianificazione della fascia costiera) ed aree di particolare sensibilità (ad esempio Portofino o le aree sciistiche di Monesi, sulle Alpi Liguri). La legge regionale 39/84 prevedeva un doppio passaggio per la formazione dei piani territoriali di coordinamento: la preliminare adozione di uno "schema di piano" e solo in un secondo tempo (raccolte tutte le osservazioni nel merito degli enti sott'ordinati) l'approvazione definitiva del piano vero e proprio. Sulla base di tale legge furono avviate diverse esperienze di pianificazione di "area vasta", concentrandosi su temi specifici, quei temi che caratterizzavano e ancora caratterizzano, di fatto, in modo del tutto peculiare il territorio regionale: la componente agricola per l'area del ponente ligure, gli insediamenti produttivi e le infrastrutture nella cosiddetta "area centrale ligure" (il comprensorio che comprende, oltre alla provincia di Genova anche la parte orientale della provincia di Savona, ossia il vero "motore" produttivo e logistica della Regione), le forme insediative e il modello di sviluppo della piccola impresa nell'area spezzina (disciplinata attraverso specifico PTC, confluito poi, negli anni successivi, nel PTC provinciale).

A queste macro-aree si aggiunsero poi piani territoriali ancora più specifici e territorialmente circoscritti come il PTC delle aree sciistiche di Monesi (un'area compresa nel comprensorio delle Alpi Marittime a confine col Piemonte) e il PTC per l'accessibilità a Portofino. Fu anche avviata l'esperienza relativa alla pianificazione dell'arco costiero. Alcune delle esperienze maturate in questo lungo arco temporale (cioè da metà anni '80 del ‘900 fino al primo decennio post 2000) permangono ancora nel quadro pianificatorio regionale: in questo senso l'esperienza di certo più significativa è costituita dal Piano territoriale regionale della costa, un piano tematico che affronta in maniera sistematica tutta una serie di questioni relative alla gestione della fascia costiera: portualità turistica, infrastrutture viarie e ferroviarie a servizio dei centri urbani costieri, tutela ambientale e paesistica. Con l'introduzione della Legge 36/97 si assunse l'ipotesi di far confluire tali piani all'interno del nuovo Piano Territoriale Regionale, che avrebbe dovuto assorbire tutte le specifiche competenze in allora disperse tra vari strumenti. Per quanto attiene il paesaggio, la Liguria era stata una fra le prime regioni a dar seguito alla cosiddetta "legge Galasso" mediante l'approvazione, nel 1991, del Piano territoriale di coordinamento paesistico (PTCP). Esteso a tutto il territorio regionale, il PTCP (ancora oggi vigente, in attesa del piano paesaggistico rinnovato secondo i criteri del D.Lgs 42/2004) è uno strumento complesso, articolato su tre livelli (territoriale, locale, puntuale) di differente valenza attuativa e prescrittiva e riferito a tre "assetti" (geomorfologico, vegetazionale, insediativo).Molte parti del PTCP hanno avuto scarse o nulle ricadute (livelli geomorfologico e vegetazionale) e sono state progressivamente depotenziate nella loro valenza normativa; mentre il livello locale dell'assetto insediativo (che disciplina l'intero territorio regionale con una zonizzazione uniforme per tutta la Regione) ha influito sia sulla produzione dei piani successivi di ogni livello (in particolar modo sui piani urbanistici dei Comuni), sia sull'effettiva gestione del territorio anche ai diversi livelli sovra-ordinati. Gli effetti prescrittivi che ne derivano sono minimi o nulli sui tessuti edilizi compatti delle aree urbane (ove vige il rimando alla strumentazione urbanistica dei comuni), ma notevoli sulle aree rurali e sui piccoli centri che vi sono compresi o sulle aree non abitate.

Scopi preminenti del PTCO si possono ricondurre alla limitazione del consumo di suolo, mantenimento o comunque controllo delle densità urbanistico-edilizie soprattutto per quanto riguarda gli insediamenti sparsi e diffusi, la limitazione dell'aggressione insediativa ai bordi dei nuclei storici compatti. L'approvazione dei piani comunali intervenuti dopo il 1991 ha comportato una sostanziale "manutenzione" del PTCP (previsto dai meccanismi stessi di legge) che ha comportato nel corso del tempo numerose varianti. Nel passaggio a scale di maggior dettaglio si è evidenziata infatti, talora, la necessità di rettificare i confini di zona, come, in altri casi, di attribuire discipline di tutela diverse rispetto inizialmente previste e più coerenti con la realtà dei luoghi e che sono via via state verificate attraverso l'elaborazione degli strumenti urbanistici di maggior dettaglio.
Per quanto riguarda invece la pianificazione urbanistica di livello comunale, con la L.R. 36/97 si è compiuto il passaggio dal modello tradizionale del PRG verso un nuovo modello di pianificazione generale locale, sostituendo i piani regolatori della L.1150/42 con i PUC, piani urbanistici comunali. Pur non operando che in parte nella direzione indicata dal progetto di riforma INU del 1995 (che in altre regioni ha visto un più convinta adesione al modello del "doppio piano: strutturale e operativo), nel piano urbanistico comunale della Liguria, le componenti interpretative e vincolistiche (ricognizione) sono contenute nella rappresentazione descrittiva del territorio che si esplicita con un proprio disegno conseguente ai contenuti della cosiddetta "Descrizione Fondativa", che costituisce uno degli elementi fondanti del nuovo PUC (anche se non possiede valenza conformativa, se non nella restituzione del regime vincolistico previgente). La seconda componente del PUC, denominata "Struttura del piano", stabilisce i criteri di intervento e le modalità attuative, sia direttamente attraverso disposizioni immediatamente prescrittive, sia attraverso la predisposizione di specifici strumenti di attuazione (i progetti urbanistici operativi – PUO – da applicarsi principalmente nelle aree soggette a più incisivi interventi di trasformazione), dove le determinazioni pianificatorie richiedono un livello di approfondimento maggiore ai fini dell'attuazione degli interventi previsti. Secondo il dispositivo legislativo in vigore, che ad oggi non ha subito sostanziali modificazioni, le componenti dei PUC sono quindi:
• la Descrizione Fondativa,
• il Documento degli Obiettivi,
• la Struttura del Piano che, a sua volta, si compone di due elementi fondamentali e complementari:
• la zonizzazione per ambiti e distretti,
• le Norme di Conformità e Congruenza.

Tali elementi confluiscono tutti in un unico strumento che, in origine, la Legge regionale prevedeva scomposto in due elementi differiti temporalmente: il progetto preliminare di PUC (sul quale gli Enti sovraordinati svolgevano una prima ricognizione, indicando gli elementi incongrui da modificare) e il progetto definitivo. Questo doppio passaggio, che per anni, ha complicato non poco l'iter di formazione del piano comunale, è stato abrogato con la riforma della LR 36 intervenuta nel 2015).
La Descrizione Fondativa analizza le caratteristiche e le peculiarità del territorio comunale, gli eventuali squilibri, criticità presenti, nonché le potenzialità e risorse del territorio, indicando tutti i vincoli operanti per effetto delle diverse discipline (vincoli idrogeologici, fasce di rispetto, aree asservite e/o con vincolo decaduto, aree naturalistiche di specifico interesse (SIC, ZPS, ecc.) anche ai fini del bilancio ambientale (poi, a partire dal 2012 sostituito dalla VAS, le cui procedure connesse ai piani urbanistici sono state introdotte attraverso la LR 32). Esito della Descrizione Fondativa, anche in ragione del confronto tra le condizioni ambientali "strutturanti" esistenti e gli effetti derivanti dalla potenziale attuazione delle previsioni di piano, è il secondo documento di PUC previsto, il Documento degli Obiettivi che a sua volta disegnerà le lineee fondanti della "Struttura del Piano".

La Descrizione Fondativa è pertanto costituita da analisi conoscitive e da sintesi interpretative, estese all'intero territorio comunale e riferite:
• ai caratteri fisici e paesistici dei siti, intendendosi per tali quelli naturali e storico-antropici nei loro aspetti geologici e geomorfologici, vegetazionali ed insediativi, nonché ai principali fattori che costituiscono gli ecosistemi ambientali locali e che ne determinano la vulnerabilità ed il limite di riproducibilità;
• i processi storici di formazione delle organizzazioni territoriali ed insediative in atto nonché ai prevalenti caratteri di identità, storici ed attuali, dei luoghi;
• ai processi socioeconomici in atto e alle reti di relazione di livello locale e di scala territoriale più vasta anche nella loro correlazione con gli atti di programmazione, evidenziandone le dinamiche evolutive e le potenzialità innovative;
• alle prestazioni dei vari tipi di insediamento, delle reti di urbanizzazione, dei servizi e al complessivo rispettivo grado di equilibrio ecologico-territoriale riferito anche al territorio non insediato;
• al quadro di riferimento pianificatorio e dei vincoli territoriali, comprensivo dell'illustrazione e del bilancio dello stato di attuazione dello strumento urbanistico generale vigente.

Le analisi conoscitive devono essere sviluppate nella misura necessaria a rappresentarne l'incidenza rispetto alle caratteristiche del territorio e agli obiettivi del PUC. Ciò al fine di correlare in modo coerente e logico la Descrizione Fondativa agli obiettivi di piano, in modo da evidenziare se le scelte di piano consentono effettivamente il perseguimento degli obiettivi prefissati e se anzi tali obiettivi conseguano o meno una generale coerenza con il quadro territoriale dello stato di fatto e di diritto.
I contenuti sostanziali della descrizione fondativa sono quindi l'evidenziazione:
• delle criticità territoriali;
• delle esigenze di natura sociale ed economica da perseguire in presenza delle specifiche caratteristiche e vocazioni del territorio e dell'effettiva suscettività alla trasformazione o meno dello stesso, in relazione a tali esigenze;
• dello specifico rapporto con i piani con i vigenti Piani territoriali regionali, provinciali, in particolare con l'evidenziazione delle eventuali varianti che si intendono richiedere in modo esplicito e consapevole agli stessi (esplicitazione della motivazione), in particolare rispetto al Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico Regionale, che costituisce sicuramente la griglia fondamentale interpretativa e normativa dell'assetto del territorio;
• la definizione degli obiettivi che la struttura di piano deve perseguire.

Il Documento degli Obiettivi definisce in modo esplicito gli obiettivi che il PUC intende assumere relativamente alle diverse componenti dell'assetto territoriale in coerenza con la Descrizione Fondativa, previa verifica dei rapporti di compatibilità, nonché con le indicazioni contenute negli atti di pianificazione e programmazione di livello regionale e provinciale. Il Documento degli Obiettivi costituisce elemento fondamentale di riferimento e coerenza nella definizione complessiva del PUC, delle priorità e delle modalità del suo sviluppo operativo ed esprime sostanzialmente la volontà politica della Pubblica Amministrazione nei confronti dell'uso e delle risorse territoriali. Tanto più il documento degli obiettivi risulta concretamente focalizzato sulle iniziative e sugli obiettivi che la Pubblica Amministrazione fa propri, tanto più il PUC assume una valenza pianificatoria puntuale e rispondente alle esigenze della collettività che essa rappresenta.
La Struttura di Piano, infine, è l'insieme delle scelte fatte sul territorio in termini di pianificazione individuando zone definite ambiti e i distretti, oltre al sistema delle infrastrutture e dei servizi, che concorrono, superando la logica della zonizzazione per funzioni, a definire l'impianto ed il funzionamento del sistema territoriale e paesistico – ambientale del Comune. La zonizzazione che risulta dalla struttura del piano suddivide il territorio in ambiti dove, sulla base delle diverse suscettibilità, operano diversi regimi di trasformabilità, riqualificazione o conservazione. Il piano urbanistico di ultima generazione ligure opera infatti, non diversamente rispetto ad altre analoghe esperienze regionali, una zonizzazione del territorio che sostituisce (o per meglio dire integra) la zonizzazione funzionale (zone omogenee con indicazioni d'uso piuttosto rigide) con una zonizzazione per ambiti di tipo morfologico-ambientale, che possono contenere al loro interno anche una pluralità di funzioni.

Secondo lo schema prefigurato dalla Legge Urbanistica regionale del 1997, e che si ritrova in ogni PUC redatto a partire dall'introduzione della Legge, si riconoscono:
• gli ambiti di conservazione, ossia quelli dove si riconosce un assetto fisico-morfologico e funzionale definito, da mantenere, sia esso insediato o non insediato;
• gli ambiti di riqualificazione, dove invece sono individuati quegli ambiti già insediati e suscettibili di modificazioni migliorative o completamento in termini non sostanziali del carico insediativo;
• i distretti di trasformazione, dove il piano riconosce la possibilità di un insieme complesso di interventi di trasformazione urbanistica destinati a cambiare l'assetto fisico e funzionale del territorio oggetto del distretto e che può portare, come esito, ad un incremento del carico insediativo o la sua sostanziale modifica qualitativa;
• il sistema delle infrastrutture e dei servizi.

Più in dettaglio, una classificazione piuttosto comune che si può ottenere in base allo schema della LUR 36/1997 (articoli 27-37) risulta dalla combinazione morfologia / regime normativo e può essere illustrata in questo modo:
a) Caratteristiche morfologiche: ambiti insediati (con sotto-ambiti di diversa conformazione morfologica), ambiti rurali con presenza di agricoltura "vitale" o meno, ambiti non insediati, sistema delle infrastrutture e dei servizi.
b) Suscettibilità alla trasformazione: conservazione, riqualificazione, trasformazione.
Sulla base di questa duplice classificazione, per combinazione, si possono quindi individuare le seguenti tipologie d'ambito:
• Ambiti insediati di conservazione: tipicamente le ex zone "A" del DM 1444 del 1968 e, talvolta, le zone "B" sature;
• Ambiti insediati di riqualificazione (alle quali, con la riforma della legge operata nel 2015 si sono aggiunti quelli di completamento): la città consolidata, ove si ritenga che questa debba essere soggetta ad (almeno) un parziale rinnovo (ex zone B non sature) o consolidamento – completamento (ex zone C del DM o zone B a minore densità) o anche una più incisiva azione di riqualificazione urbana;
• Distretti di trasformazione insediati: parti della città consolidata nelle quali è prevista un'ampia ristrutturazione urbanistica, anche con modificazione- ne sostanziale dei carichi urbanistici;
• Distretti di trasformazione non insediati (territori non insediati o poco urbanizzati) nei quali si prevede di espandere l'area urbana;
• Ambiti rurali di conservazione o riqualificazione: ambiti rurali dove confermare e consolidare l'attività agricola attraverso il riconoscimento cioè delle aree di produzione agricola, dove intervenire, in via preferenziale, attraverso specifici strumenti di attuazione regolati da apposita convenzione;
• Ambiti rurali con caratteristiche di distretti di trasformazione: laddove via sia una notevole rilevanza degli interessi legati alla produzione agricola (si tratta di casi molto rari, per lo più recepiti da altri piani o programmi di settore in ambito agricolo-forestale);
• Ambiti rurali dove è venuta meno la funzione di produzione agricola quale motivo di sostegno effettivo economico per gli abitanti insediati e dove tale funzione si ritiene non sia più recuperabile, se non marginalmente: si tratta di quelli che la Legge definisce "territori di presidio ambientale", dove la gestione della rimanente funzione agricola e ambientale può essere attribuita a soggetti diversi dall'agricoltore o coltivatore diretto; in quanto si ritiene di dover promuovere forme di presidio del territorio e di conservazione "attiva" di una presenza antropica ancorché minima;
• Territori non insediati di conservazione e riqualificazione: mantenimento delle condizioni di "naturalità" esistenti, con limitatissime possibilità di trasformazione (e praticamente nulle opportunità di incremento), volte a conservare il sistema ambientale presente in equilibrio;
• Sistema dei servizi: aree a servizio pubblico (riconducibili agli standard urbanistici ex DM 1444).
• Sistema dei servizi: infrastrutture.

Di particolare interesse, sono gli ambiti nei quali il PUC suddivide i territori aperti, visti i fenomeni difficilmente controllabili che si hanno in queste realtà. Come accennato, nella Legge Urbanistica regionale 36/1997, sono individuati tre ambiti nei quali suddividere il territorio extra-urbano:
• le aree di produzione agricola,
• i territori di presidio ambientale,
• i territori non insediabili.

Le aree di produzione agricola sono distinte in:
a) le aree destinate o da destinare allo svolgimento effettivo di attività produttive di tipo agricolo, nella forma di coltivi estensivi ed intensivi, nonché di tipo silvo-pastorali;
b) le aree destinate o da destinare a serre.
Le aree di effettiva produzione agricola sono classificate quali ambiti di conservazione o di riqualificazione: qui il PUC regolamenta l'edificazione di manufatti tecnici connessi con lo svolgimento di una specifica e documentata attività agricola, in quantità e secondo dimensioni commisurate al tipo di attività svolta o da svolgere. Laddove la natura e le caratteristiche dell'attività stessa consentita dal PUC giustifichino l'esigenza di risiedere sul fondo, il PUC può altresì prevedere la realizzazione di manufatti residenziali distinti dai manufatti tecnici, con dimensioni commisurate all'attività agricola. Di norma, il PUC prevede che gli interventi di trasformazione edilizia che aumentano il carico insediativo, siano regolati attraverso appositi atti convenzionati, il più diffuso dei quali è il piano aziendale agricolo, uno strumento attraverso il quale il proprietario (conduttore agricolo a titolo principale) si impegna a realizzare, contestualmente all'intervento edilizio, una serie di opere di miglioria fondiaria sull'azienda agricola cui detto intervento edilizio è legato. Tali interventi sono quantificati in termini di costi e prevedono l'impegno a "mantenere" il territorio in una condizione di reale attività agricola per un periodo di tempo stabilito a priori (normalmente dieci anni).

Il PUC individua poi, al di fuori di quelle che vengono considerate, sulla base delle analisi effettuate nell'ambito della Descrizione Fondativa, aree di effettiva produzione agricola, il territorio di presidio ambientale. Esso viene individuato sulla base di alcuni elementi precisi:
a) aree che presentino fenomeni di sottoutilizzo e/o di abbandono agro-silvo-pastorale e di marginalità e che non appaiano recuperabili all'uso agricolo produttivo o ad altre funzioni ad esso assimilabili;
b) aree che si trovino in precarie condizioni di equilibrio idrogeologico e vegetazionale, ivi comprese quelle attualmente adibite ad attività agro-silvo-pastorali diverse da quelle di effettiva produzione agricola;
c) aree nelle quali siano in atto fenomeni di rinaturalizzazione spontanea e/o guidata;
d) aree caratterizzate da insediamenti sparsi nelle quali si renda necessario subordinare gli interventi sul patrimonio edilizio esistente o di nuova costruzione al perseguimento delle finalità di presidio ambientale.

Infine, il PUC, oltre i limiti definiti dal territorio rurale (ancora sfruttabile ai fini agricoli o meno) individua i territori non insediabili, ossia le aree che, per condizioni morfologiche, ecologiche e paesistico-ambientali, sono qualificate territorio naturale non insediato e non insediabile. Nel territorio non insediabile sono consentiti interventi di manutenzione e ripristino dei manufatti esistenti, nel rispetto delle loro caratteristiche funzionali, tipologiche e costruttive originarie, nonché la realizzazione di manufatti tecnici o di quelli esclusivamente finalizzati all'esercizio delle attività consentite o al mantenimento delle condizioni ambientali di equilibrio. In detti territori il PUC può altresì individuare e disciplinare, alla stregua di attrezzature per servizi, specifici interventi esclusivamente finalizzati alla fruizione pubblica delle risorse.

Nei comuni dove è rilevante il peso dell'offerta turistica, la struttura del PUC deve darsi carico dell'indicazione della capacità turistico ricettiva innanzi tutto in termini di modalità e regole volte alla valorizzazione e/o ad un riuso del patrimonio ricettivo esistente. Il piano deve comunque garantire, con i relativi margini di flessibilità, una disponibilità dell'offerta turistica nelle diverse tipologie ammesse dalla legislazione regionale (da quella ricettivo alberghiera alle forme di ricettività diffusa, anche connesse con le attività di produzione agricola) anche attraverso il vincolo alberghiero.

Nella struttura di piano è inclusa la normativa che disciplina gli ambiti di conservazione e di riqualificazione (denominate norme di conformità) e dei distretti di trasformazione (norme di congruenza) comprensiva in ciascuno dei due casi della disciplina paesistica nonché l'esplicitazione dei margini di flessibilità delle relative indicazioni. Le norme di attuazione ed i relativi allegati (eventuale repertorio delle "schede di settore", tavole grafiche di dettaglio) fanno parte integrante della struttura del piano e contengono, oltre le disposizioni in materia strettamente urbanistica, la disciplina paesistica di livello puntuale (che costituisce il terzo livello del PTCP di cui si è detto sopra), le norme in materia di urbanistica commerciale (disciplinate da apposite leggi si dettore, integrate all'interno delle più generali norme urbanistico-territoriali), quelle costituenti disciplina delle strutture turistico ricettive (L.R. 1/2008), la disciplina delle strutture balneari e la disciplina urbanistico – edilizia delle aree demaniali.

In sintesi, la struttura tipica dell'apparato normativo di un PUC, si basa su un insieme abbastanza consolidato di elementi costitutivi che può essere così sintetizzato:
• Generalità: principi generali: oggetto delle norme, richiamo riferimenti normativi, modalità applicative, obbiettivi di carattere generale, elencazione atti costitutivi, descrizione della struttura del piano.
• Parametri e indici urbanistici: destinazioni d'uso, categorie di intervento, modalità gestionali, parametri edilizi, indici urbanistici, standard.
• Modalità di intervento sul costruito ed eventualmente sui suoli: le categorie di intervento sull'esistente e per nuova costruzione sono sempre raccordate con quelle del T.U. dell'Edilizia (D. Lgs 380/2001 recepito con normativa regionale specifica attraverso la L.R. 16/2008 e s.m.i.) e costituiscono un aspetto fondamentale del Piano in quanto sulla base di queste definizioni vengono calibrate le previsioni di trasformazione all'interno dei vari ambiti.
• L'articolazione dispositiva, per "sistemi", dove per ciascuno di essi si forniscono definizione, interpretazione, prospettive, indirizzi normativi; come ad esempio: sistema delle residenze, sistema del connettivo urbano, sistema turistico ricettivo, sistema delle attività produttive (artigianali, industriali, distribuzione commerciale per grandi e medie superfici di vendita), sistema dei territori aperti (aree di produzione agricola e territori di presidio ambientale).
• Definizione del sistema dei servizi e delle infrastrutture (sottosistemi degli standard urbanistici, discipline di dettaglio per singole zone, sottosistema delle infrastrutture di comunicazione e della mobilità, reti urbane)
• Vincoli (definizione del rapporto con tutte le categorie di vincoli presenti, quali ad esempio quello idrogeologico, paesistico, storico-artistico, cimiteriale ecc..).
• Elementi di flessibilità e di aggiornabilità del Piano.

Nella struttura del PUC, i distretti di trasformazione rappresentano gli ambiti sui quali sono previste le più incisive trasformazioni urbane: si tratta cioè di quelle aree suscettibili di variazioni rispetto all'assetto esistente. Di norma, dato il carattere fortemente urbanizzato di fasce costiere e fondivalle che caratterizza il sistema insediativo regionale, si tratta di aree già in parte edificate ed urbanizzate, per le quali si prevede una ristrutturazione totale dal punto di vista urbanistico, il più delle volte accompagnata da un radicale mutamento delle destinazioni d'uso. Il caso più frequente è quello delle aree industriali dismesse. Meno frequente è il caso anche delle aree ancora libere ed almeno in parte da urbanizzare e sulle quali si prevedono nuovi fronti di espansione urbana, orientandosi la disciplina generale del territorio generale verso la riqualificazione dell'esistente piuttosto che sulla nuova espansione.

Spesso i distretti di trasformazione sono individuati già a livello di pianificazione sovraordinata: talvolta è lo stesso PTCP regionale che ne ha individuato la localizzazione, come nel caso delle aree TRZ (trasformazione) dello stesso, che individuano aree a forte criticità paesistica ed ambientale, dove quindi è auspicato già a livello regionale un intervento di riordino e riqualificazione. In alcuni casi (si tratta soprattutto dei capoluoghi e dei centri urbani più consistenti), il sistema dei distretti di trasformazione si configura come un vero e proprio complesso articolato di aree sulle quali si intende progettare il futuro assetto urbano, prevedendo per esse funzioni polarizzanti in grado di trasformare e riequilibrare la configurazione urbanistica complessiva di un centro urbano (è il caso della Spezia e in parte anche di Genova). In altri casi il piano recepisce indirizzi pianificatori che derivano da piani sovraordinati: è il caso del PUC di Genova che recepisce alcuni dei distretti già precedentemente individuati dal Piano Territoriale di Coordinamento degli insediamenti produttivi dell'Area Centrale Ligure, rimandando direttamente alle norme di tale strumento. A tale proposito, va osservato come l'esperienza regionale con il PTC ACL abbia contribuito a creare, per le aree di intensa trasformazione un linguaggio, grafico e prescrittivo, poi ripreso anche nella legge urbanistica regionale e di conseguenza anche nei PUC.

LA SCHEDA SULLA LEGGE URBANISTICA VIGENTE E I DATI DELLA REGIONE a cura di Giampiero Lombardini

DOSSIER URBANISTICA. Le 21 leggi regionali a confronto, con testi aggiornati, i commenti degli esperti e le schede di sintesi

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©