Le mansioni superiori vanno sempre retribuite in rapporto alla qualifica corrispondente
Diritto non è condizionato dalla legittimità dell'assegnazione o dalle previsioni del contratto collettivo
In materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di mansioni proprie di una qualifica anche non immediatamente superiore a quella dell'inquadramento formale comporta sempre e in qualsiasi caso il diritto alla retribuzione propria della qualifica corrispondente. Questo il principio affermato dalla Corte di cassazione, Sezione Lavoro, con l'ordinanza n. 1496/2022, la quale ha altresì chiarito che il diritto alla retribuzione non è condizionato dalla legittimità dell'assegnazione delle mansioni o dalle previsioni del contratto collettivo, dacché una diversa interpretazione sarebbe contraria all'intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, secondo quanto sancito dall'articolo 36 della Costituzione.
La vicenda
Il contenzioso all'esame del collegio ha preso le mosse dal ricorso proposto da una lavoratrice contro l'Inps, per ottenere il diritto alle differenze retributive nel periodo dal 1° aprile 2005 al 31 luglio 2009, in ragione delle mansioni svolte a favore dell'istituto corrispondenti alla categoria C, posizione economica C3, superiori rispetto all'inquadramento formale in categoria B.
Il tribunale di Latina e poi la Corte d'appello di Roma hanno dato ragione alla lavoratrice, che aveva puntualmente documentato in giudizio la tipologia e complessità di mansioni svolte, aventi a oggetto l'intero procedimento preordinato al recupero crediti, con l'istruzione delle pratiche sulle ispezioni svolte da altri enti e dagli ispettori dello stesso Inps presso le aziende, svolgendo attività che consistevano nell'effettuare controdeduzioni e calcoli e nella valutazione circa la possibilità di interrompere i termini prescrizionali, nonché di accettare richieste di sgravio ovvero di provvedere al recupero dei crediti.
L'Inps ha impugnato la sentenza della Corte d'Appello adducendo, come principale motivo di ricorso, l'asserita violazione del quadro normativo di riferimento, dato che la Corte territoriale aveva riconosciuto lo svolgimento delle mansioni superiori C3, senza tener conto che la lavoratrice apparteneva all'area B. Quest'ultima circostanza, secondo l'Inps, poteva giustificare l'aspirazione della ricorrente alle sole differenze retributive in ragione del passaggio da un profilo all'altro nell'Area di appartenenza, dacché l'articolo 24 del contratto di riferimento stabiliva che «nell'ambito del nuovo sistema di classificazione del personale previsto dal presente contratto, si considerano mansioni immediatamente superiori le mansioni svolte dal dipendente all'interno della stessa Area in profilo appartenente alla posizione di livello economico immediatamente superiore a quella in cui egli è inquadrato».
Il diritto alla retribuzione
La Corte ha rigettato il ricorso dando una valenza dirimente alla fonte normativa costituita dall'articolo 52, comma 5, del dlgs 165/2001, e ha sostenuto che - fermo restando il principio che nel pubblico impiego le mansioni superiori non danno diritto alla promozione automatica alla categoria superiore – lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica anche non immediatamente superiore a quella dell'inquadramento formale comporta in ogni caso il diritto alla retribuzione propria della qualifica superiore corrispondente.