Le regole sulla parità di genere nei piccoli Comuni non hanno valore solo programmatico
Per rendere effettiva la partecipazione di entrambi i sessi, in condizioni di pari opportunità, alla vita istituzionale degli enti
Le disposizioni sulla parità di genere nelle giunte dei Comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti non hanno un mero valore programmatico, ma assumono carattere precettivo. Questa la massima del parere reso dal Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del ministero dell'Interno.
Il parere origina dalla richiesta presentata dal sindaco di un Comune con popolazione inferiore a 3.000 abitanti per sapere se sussiste l'obbligo di nominare un assessore donna in quanto la giunta è al momento composta dal sindaco e da un assessore, entrambi di genere maschile.
Al fine di rendere il parere vengono richiamate una serie di disposizioni, il comma 137 dell'articolo 1 della legge 56/2014 dove si stabilisce che: «Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico»; mentre per quanto riguarda i Comuni con popolazione inferiore ai 3.000 occorre tenere conto dell'articolo 6, comma 3, del decreto 267/2000 (Tuel) in base al quale gli statuti comunali e provinciali stabiliscano norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Il successivo articolo 46, comma 2, del Tuel dispone che il sindaco e il presidente della provincia nominano i componenti della giunta «nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi…».
Ricorda il parere che le disposizioni normative suddette vanno lette alla luce dell'articolo 51 della Costituzione che ha riconosciuto dignità costituzionale al principio della promozione della pari opportunità tra donne e uomini, stabilendo che «tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge», precisando che «a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».
Precisa il parere che le disposizioni richiamate, recependo principi costituzionali, non hanno un mero valore programmatico, ma assumono carattere precettivo, al fine di rendere effettiva la partecipazione di entrambi i sessi, in condizioni di pari opportunità, alla vita istituzionale degli enti territoriali.
Nel parere vengono poi richiamate una serie di sentenze della giurisprudenza amministrativa, tra le quali quella del Tar Umbria 10/2020, che si è espressa su un caso similare rispetto a quello oggetto del parere, dove richiamando l'articolo 47 del Tuel nella parte in cui stabilisce che: «nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province gli assessori sono nominati dal sindaco o dal presidente della provincia, anche al di fuori dei componenti del consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere», e che «nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti lo statuto può prevedere la nomina ad assessore di cittadini non facenti parte del consiglio ed in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere», precisa che il sindaco del comune avrebbe dovuto svolgere un'adeguata istruttoria volta all'ottenimento, per la nomina degli assessori, della disponibilità di idonee personalità di sesso femminile nell'ambito di tutti i cittadini residenti anche mediante l'indizione di un apposito avviso pubblico, finalizzato all'acquisizione dell'interesse di donne, appartenenti al partito politico o alla coalizione di partiti che hanno vinto le elezioni comunali, a ricoprire la carica di Assessore. Sulla stessa scia si è posta anche la sentenza Tar Salerno 66/2023, sezione prima, che su una vicenda similare ha rilevato non solo il mancato rispetto della quota di genere prevista dalla legge, ma anche il fatto che non è stata svolta alcuna istruttoria per esplorare la possibilità, eventualmente previa disapplicazione dello Statuto comunale, che nel caso di specie non ammetteva la nomina di assessori esterni, di nominare un assessore appartenente al genere meno rappresentato. Sul punto viene richiamata la sentenza del Tar Calabria, sez. I, 1508/2018 nel passaggio in cui osserva che «la previsione statutaria secondo la quale non è ammessa la nomina di assessori esterni, pertanto, non può impedire l'attuazione dell'art. 1, comma 137 l. 7 aprile 2014, n. 56, e, ove fosse impeditiva di un'adeguata rappresentanza di entrambi i generi nella giunta comunale, dovrebbe essere, secondo il principio della gerarchia delle fonti, disapplicata».