Urbanistica

Lombardia, il Tar chiarisce le differenze tra perequazione e compensazione

In una sentenza l'analisi dettagliata delle norme regionali che consentono forme di pianificazione alternative a quelle tradizionali

di Carmen Chierchia

Perequazione e compensazione: due forme di costruzione delle città differenti rispetto alle tecniche pianificatorie tradizionali. Sono tecniche che prestano attenzione agli interessi dei proprietari dei suoli, ed entrambe sono imperniate sulla trasferibilità di diritti edificatori, ma sono notevoli le differenze tra i due istituti. Il Tar Lombardia (con sentenza del 3 ottobre 2022, n. 2169) ha recentemente chiarito le caratteristiche e le differenze delle due tecniche sulla base della disciplina regionale, dettata dall'articolo 11 della Lr 12/2005.

In particolare, i giudici hanno chiarito che la perequazione ha lo scopo di mitigare le diseguaglianze che nascono dalla pianificazione ordinaria e consiste nell'attribuzione di un indice edificatorio di pari entità alle aree destinate alle costruzioni private e a quelle destinate alle opere pubbliche mentre la compensazione mira ad individuare una forma di remunerazione alternativa a quella pecuniaria per i proprietari dei suoli destinati all'espropriazione, e consiste nell'attribuzione di diritti edificatori che potranno essere trasferiti ai proprietari delle aree destinate all'edificazione".

La disciplina regionale: la perequazione
L'articolo 11 della Lr 15/2005 introduce due forme di perequazione:

1) la perequazione interna ai comparti
2) la perequazione estesa all'intero territorio comunale.

La perequazione supera il modello tradizionale della pianificazione che, separando le aree e attribuendo a ciascuna di esse una disciplina differente in termini di regime edificatorio, crea disuguaglianze tra fondi e relative rendite. Infatti, nel modello tradizionale, i regimi delle aree destinate ad ospitare la "città privata" sono completamente diversi da quelli delle aree della c.d. "città pubblica": i primi sono relativi ad aree che esprimono indici di edificabilità e rendite elevate, i secondi sono privi di ogni capacità edificatoria ed hanno, quindi, un valore di mercato molto basso se non nullo.

Al fine di ovviare a tale sperequazione, i Comuni italiani, in sede di pianificazione, adottano diverse soluzioni, perlopiù basate sull'attribuzione di un indice di edificabilità virtuale alle aree destinate alla città pubblica, non utilizzabile su tali aree ma trasferibile sui suoli suscettibili di sfruttamento edificatorio. Si assicura, in tal modo, la valorizzazione delle aree della città pubblica, atteso che esse assumono in tal modo un valore commerciabile generato appunto dal valore dei diritti edificatori che esse esprimono. I modelli di perequazione previsti dalla legislazione lombarda sono due, disciplinati rispettivamente dal primo e dal secondo comma del citato articolo 11.

1) Il primo modello (già sostanzialmente previsto nella legge urbanistica nazionale, L. 1150/1942) si identifica nella cosiddetta perequazione di comparto, in quanto incidente su aree limitate del territorio comunale inserite in un medesimo comparto e prevede che nelle aree inserite in uno stesso comparto si attribuisce un identico indice edificatorio, a prescindere dal fatto che le stesse siano in concreto destinate allo sfruttamento ovvero alla cessione alla mano pubblica. Il piano attuativo individua poi i suoli ove concentrare l'edificazione e quelli destinati ad ospitare le opere di urbanizzazione. Anche queste ultime aree esprimono dunque capacità edificatoria; di conseguenza, i loro proprietari conseguono, comunque, un beneficio economico che rende indifferente, sotto il profilo economico appunto, la scelta dei siti ove verrà concentrata, in concreto, l'edificazione.

2) Il secondo modello disciplina invece la perequazione c.d. ‘estesa' riferita all'intero territorio comunale e che prevede l'individuazione di due indici: un indice territoriale che, con riferimento alle aree omogenee aventi caratteristiche similari collocate in specifiche parti del territorio comunale, deve essere identico; ed un indice minimo fondiario, di valore più elevato rispetto all'indice territoriale, che costituisce un valore soglia al di sotto del quale lo sfruttamento edificatorio dell'area non può avvenire. In questo modo i titolari delle aree suscettibili di sfruttamento sono costretti ad acquisire diritti edificatori dai proprietari delle aree destinate alla città pubblica, e a trasferire, dunque, a questi, parte del valore economico dei propri fondi.

L'istituto della compensazione presuppone l'esistenza di un vincolo espropriativo e consiste in una procedura alternativa all'esproprio. A differenza della perequazione, la cessione compensativa si caratterizza per l'individuazione da parte del pianificatore di aree, destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l'amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree. In queste aree, il Comune appone il vincolo pre-espropriativo ed entro il termine di cinque anni deve fare ricorso all'espropriazione, con la possibilità di ristorare il proprietario mediante attribuzione di "crediti compensativi" o aree in permuta in luogo dell'usuale indennizzo pecuniario (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 3 luglio 2020, n. 1279; id., 17 settembre 2009, n. 4671).

Il caso analizzato dai giudici: le aree a pertinenza indiretta
È interessante il caso analizzato dai giudici meneghini, che aveva ad oggetto un ricorso volto all'annullamento del Pgt. I ricorrenti, proprietari di aree destinati a "verde urbano di nuova previsione (pertinenza indiretta)" e per altra parte tra gli ambiti di rinnovamento urbano (Aru) e tra gli ambiti di rigenerazione ambientale" partivano dal presupposto che la disciplina applicata dal Comune all'area sottintendesse un vincolo espropriativo.

Secondo l'articolo 7 delle norme di attuazione del Pgt, per le aree individuate quale pertinenza indiretta, la perequazione urbanistica è finalizzata all'acquisizione da parte dell'amministrazione comunale dei suoli per verde urbano, infrastrutture e mobilità (…). Le pertinenze indirette sono quindi le aree su cui il Comune di Milano intende realizzare aree pubbliche ma cui comunque attribuisce una capacità edificatoria. L'art. 7 delle norme di attuazione prevede la cessione gratuita delle aree quale mera condizione per l'utilizzo dei diritti perequati, non quale obbligo assoluto.

La non obbligatorietà della cessione è poi confermata dal fatto che si consente anche il mantenimento dell'attività insistente sull'area, sulla quale si possono eseguire opere di manutenzione ordinaria e straordinaria.I giudici concludono sostenendo che "a. fronte della non obbligatorietà della cessione e di queste facoltà utilizzatorie, la disciplina prevista deve essere ricondotta all'istituto della perequazione, con esclusione di finalità espropriative indirette". Le declinazione della perequazione, nel modello milanese, non significa quindi obbligo di cessione, e imposizione di un vincolo espropriativo, ma rimette al proprietario la possibilità di cedere le aree a soggetti interessati a incrementare i diritti edificatori sulle altre aree, ove l'edificazione è possibile.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©