Fisco e contabilità

Ma nel Sud cuore del Pnrr quasi mille municipi in deficit

In Calabria e Sicilia più del 50% degli enti ha chiuso il rendiconto in rosso

di Gianni Trovati

La convivenza fra investimenti che volano e bilanci ordinari che zoppicano è impossibile. E proprio questo aspetto rischia di alzare uno degli ostacoli più importanti, e fin qui più trascurati, sull’attuazione del Pnrr e più in generale sui programmi di rilancio degli investimenti che con i fondi comunitari guardano soprattutto a Sud: dove i conti degli enti territoriali sono pieni di falle.

Non serve una laurea in scienza delle finanze per individuare il problema. Gli investimenti che generano opere e servizi pubblici hanno poi bisogno di spesa corrente per essere mantenuti, perché per esempio l’asilo dopo essere stato creato ha bisogno di educatori, collaboratori, riscaldamento, mensa e così via. Proprio per questo nelle settimane scorse la Corte dei conti (delibera 18/2022 della sezione Autonomie) ha individuato nel margine di bilancio corrente uno dei parametri chiave per guidare i controlli sugli enti locali impegnati nel Pnrr. E le notizie, guardando le tabelle elaborate dall’Ifel, non sono buone.

Il problema è strutturale ma i numeri sono in peggioramento. In sintesi estrema: 1.294 Comuni, cioè poco più di un ente su sei (il calcolo esclude le Regioni a Statuto speciale del Nord), ha chiuso l’ultimo rendiconto in disavanzo. Ma il 72,3% di questi municipi in crisi, cioè 935 su 1.294, è concentrato nelle regioni del Sud, dove il fenomeno assume spesso connotati endemici. In Calabria ha i conti in rosso il 63% dei Comuni, in Sicilia è in queste condizioni il 52% degli enti, in Campania il 48% e da questo punto di vista anche il Lazio, con il su 42% di Comuni in deficit, offre un panorama decisamente meridionale. In Veneto, di contro, i Comuni in rosso sono 5 su 563 (quindi lo 0,89% del totale), e percentuali analoghe si incontrano in Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Come mai?

Le ragioni vanno ricercate in un intreccio complesso fra povertà socio-economica e inefficienza amministrativa, e trovano una sintesi nella cronica incapacità di riscossione delle entrate che apre voragini nei bilanci. Per provare a evitare di spendere soldi che non si hanno, le regole contabili impongono ai Comuni di accantonare un fondo a copertura delle mancate riscossioni, e questo fondo è cresciuto negli anni fino a raggiungere ora la cifra astronomica di 5,7 miliardi di euro annui: significa, in una media complessiva, che per ogni residente sono accantonati 70 euro.

Più delle cause, però, importano ora le conseguenze. Che già iniziano a farsi sentire. La questione delle ricadute degli investimenti sulla spesa corrente è stata affrontata in particolare dal governo Draghi, che nella legge di bilancio per il 2022 ha istituito un fondo crescente fino a 1,1 miliardi di euro all’anno per finanziare i nuovi asili nido necessari a far raggiungere il target comunitario (ora in aggiornamento al rialzo) che chiede di assicurarne uno almeno a un bambino su tre, obiettivo lontanissimo in molte regioni soprattutto meridionali. Per far nascere gli asili ci sono i fondi del Pnrr (4,6 miliardi), le risorse nazionali della manovra sono pensate per farli funzionare. Tanta grazia non è però stata sufficiente perché, ha notato l’Ufficio parlamentare di bilancio, oltre 3.400 Comuni privi del tutto o quasi di asili nido (tasso di copertura tra 0 e 11%) non hanno partecipato ai bandi, anche se almeno il 50% di loro avrebbe un’utenza potenziale sufficiente. E il timore di un aumento di spesa superiore ai fondi aggiuntivi ha avuto un ruolo insieme alle carenze strutturali di domanda e di offerta amministrativa

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