Mancato abbattimento delle barriere architettoniche, il Comune è chiamato a risarcire i disabili
La Cassazione ha condannato l'ente locale in solido con la società che gestisce il parcheggio
Il Comune è tenuto a risarcire il disabile se non si è attivato per rimuovere le barriere architettoniche; la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 9384/2023, ha condannato l'ente locale in solido con la società che gestisce il parcheggio comunale, perché aveva lasciato che lo stesso parcheggio fosse raggiungibile solo attraverso la scala mobile, non accessibile però al cane guida del disabile.
Il Comune nel ricorso in Cassazione ritiene che il giudice territoriale, facendo cattivo uso del potere di disapplicazione degli atti amministrativi asseritamente illegittimi, non abbia considerato il Dm 18 settembre 1975 (articolo 6) del ministero dei Trasporti (la quale, per ragioni di sicurezza, fa divieto di transito di tutti i cani su scale mobili in servizio pubblico) e abbia così a un tempo violato anche la norma tecnica europea di rango superiore (UNI EN 115-1, punto 7.2.2.1.) la quale prescrive che sulle scale mobili i cani devono essere "portati in braccio".
Secondo la Cassazione è doveroso premettere che la legge n. 67 del 2006 appresta misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità che siano vittime di discriminazioni, al fine di garantire alle stesse, in attuazione di principi costituzionali (di eguaglianza e di parità di trattamento: art. 3) e sovranazionali (art. 14 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo), «il pieno godimento dei diritti civili, politici, economici e sociali». Per realizzare lo scopo, la legge sancisce, con norme dalla portata immediatamente precettiva, divieti di discriminazione delle persone disabili nei rapporti non soltanto pubblici ma anche tra privati, ovvero senza alcuna limitazione soggettiva dei destinatari dell'obbligo di non discriminazione (Cassazione 23 settembre 2016, n. 18762 e 13 febbraio 2020, n. 3691).
La nozione di discriminazione è positivamente definita dalla legge n. 67 del 2006, attraverso due possibili declinazioni: la discriminazione diretta, la quale si verifica ogni qualvolta una persona, per motivi connessi alla disabilità, riceve un trattamento diverso e meno favorevole di quello riservato a una persona non disabile in situazione analoga; la discriminazione indiretta, la quale si configura quando «una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri» mettano una persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto ad altre persone.
Come chiarito dalla Cassazione, la locuzione "disposizione" che concreta il concetto di discriminazione indiretta va riferita anche ai regolamenti i quali «a differenza della legge , che è assoggettabile al giudizio di legittimità costituzionale quando sospettata di creare discriminazioni-, se, nel dettare norme di dettaglio, creano discriminazione, vanno disapplicati dal giudice ordinario» (così la citata Cassazione n. 18762 del 2016).
Per i giudici di legittimità è ineccepibile la ritenuta discriminatorietà della condotta serbata dal proprietario e dal gestore dell'impianto di scale mobili.
Il divieto opposto all'accesso con cani-guida sulle scale (tale la situazione di fatto accertata dal giudice di merito) è invero disposizione specificamente riferita alla condizione di handicap dei soggetti non vedenti (o ipovedenti), per i quali l'accompagnamento dell'animale costituisce ausilio necessario ed indispensabile per consentire una possibile mobilità: inibire il transito sulle scale mobili con cani guida concreta dunque atto discriminatorio per il non vedente rispetto all'omologa situazione del normodotato, dacché si traduce nella lesione del diritto alla fruizione del mezzo di trasporto pubblico.
La Cassazione, in conclusione , rigetta il ricorso e condanna il Comune ricorrente principale e la società , in solido tra loro, al pagamento in favore dei due controriccorrenti affetti da disabilità visiva le spese del giudizio di legittimità.
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di Pietro Alessio Palumbo