Nei Comuni 3mila revisori in più con la riforma degli enti locali
Nella delega la previsione del ritorno dei collegio negli enti medio-piccoli
Ci sono voluti 15 anni. Ma l’idea che i revisori dei conti siano un «costo della politica», alla base della riforma del 2006 che ha cancellato il collegio dei revisori nei Comuni fra 5mila e 15mila abitanti, sembra tramontare. Lo si vede nella bozza di legge delega sulla riforma del Testo unico degli enti locali anticipata su NT+ Enti locali & edilizia del 15 ottobre. All’articolo 5, quindi nella parte di legge delega, si chiede al governo di mettere in piedi una riforma complessiva della revisione contabile. E fra i principi di delega compare anche un «ampliamento del numero di enti, in base alla soglia demografica, per i quali l’organo direvisione deve essere previsto in forma collegiale, a garanzia di un maggior controllo». In pratica, l’indicazione potrebbe tradursi nel ritorno del collegio nei Comuni che l’hanno perso per la riforma del 2006: con un rientro in gioco di oltre 3mila posti per i revisori.
Il comma è miele per l’Ancrel, l’associazione nazionale dei revisori contabili che sabato ha tenuto a Roma l’assemblea nazionale, e per il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti che da anni con i revisori combatte contro il taglio dei controlli. Perché l’esperienza sul campo insegna che in un Comune di quella fascia demografica la complessità dei controlli, moltiplicata di anno in anno dalle norme che hanno affidato nuovi compiti ai revisori, finisce per essere ingestibile dal professionista unico.
L’effetto del lungo confronto fra il Viminale e i professionisti si vede anche in altri passaggi della delega. A partire da quello che chiede di mantenere il divieto di terzo mandato nello stesso ente solo quando è consecutivo ai primi due. Ipotesi che diventa di fatto residuale con il sistema dell’estrazione.
Ma il rafforzamento dei revisori disegnato dalla delega non si limita alle questioni legate allo status dei professionisti. L’obiettivo, ambizioso ma anch’esso fondato su un lungo confronto tecnico fra il ministero e i professionisti, è quello di dotare il sistema di revisione di un ampio ventaglio di strumenti contabili e di indicatori in grado di monitorare con tempestività l’emergere di potenziali rischi per l’equilibrio dei conti. Sotto osservazione finirebbero prima di tutto i due indici più frequenti di difficoltà strutturali, cioè la capacità di riscossione e le (spesso conseguenti) tensioni di cassa. La nuova disciplina, nelle indicazioni della delega, punta anche a costruire regole di intervento rapido quando la cassa va in sofferenza o emergono squilibri di bilancio.
In cambio, la riforma chiede ai revisori di puntare sulla formazione. Aprendo le porte della revisione a chi può mostrare nel curriculum una «specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti pubblici territoriali». Nuovi «istituti organizzativi» provvederebbero alla «formazione anche pratica» dei revisori.