Fisco e contabilità

Nel piano dei conti le carriere Pa: dirigenti anche senza concorso

Tra le riforme del programma di bilancio ci sarà il ridisegno del pubblico impiego: percorsi su misura per i profili legati al digitale

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di Gianni Trovati

Nel Piano strutturale di bilancio che la prossima settimana vedrà la luce ufficialmente gli impegni sulle nuove riforme avranno il compito di far ottenere all’Italia l’allungamento da quattro a sette anni del percorso di aggiustamento dei conti. Compito essenziale, perché arriva a dimezzare la correzione annua del deficit rispetto all’ipotesi quadriennale. Il modello più vicino dello scambio fra riforme e aiuti al bilancio alla base della nuova governance economica Ue è il Pnrr. E come nel Pnrr, il capitolo della Pubblica amministrazione avrà un ruolo centrale nelle nuove proposte di riforma. I filoni principali su cui si lavora sono due: il ripensamento delle carriere, con la possibilità di attribuire una quota di posti dirigenziali sulla base della valutazione professionale e personale del candidato e non attraverso il classico meccanismo del concorso, e un nuovo sforzo nel rafforzamento delle competenze tecnologiche e digitali della Pa con percorsi di carriera dedicati a queste figure e con una spinta ulteriore alla formazione interna. Temi che saranno dettagliati nel testo del documento, prima di essere disciplinati in un disegno di legge governativo già in lavorazione.

Nel Piano la Pa rappresenterà insieme a concorrenza, compliance fiscale e giustizia civile uno dei filoni principali dei nuovi impegni italiani. La questione che domina ora l’agenda del ministro per la Pa Paolo Zangrillo sono le carriere, per diversi motivi. La messa a regime dei concorsi semplificati in contemporanea con la ripresa spinta del reclutamento ha moltiplicato ìi candidati alle selezioni pubbliche, che hanno raggiunto i due milioni nei primi otto mesi dell’anno (Sole 24 Ore dell’11 settembre). Ma la super partecipazione ai bandi rischia di essere azzoppata nei suoi risultati finali dal fenomeno delle rinunce, che si intensifica fra i profili più elevati sul piano delle competenze tecniche e professionali, e quindi più appetibili anche dal mercato del lavoro privato. Nell’analisi della Funzione pubblica una quota non marginale delle cause di scarso appeal della Pa per queste persone è da ricercare in un sistema di carriere ingessato e ancora troppo legato all’anzianità. Ma Zangrillo nei mesi scorsi ha tenuto a sottolineare una disfunzione ancora più diretta, prodotta dalle strade dirigenziali scandite dalla leva dei concorsi: «Se per fare carriera devo sempre e solo passare un concorso - ha detto in più occasioni - sono incentivato a studiare più che a raggiungere gli obiettivi» che l’amministrazione si dà.

Di qui l’idea di affiancare al concorso un altro sistema di avanzamento professionale per i dipendenti pubblici. Il meccanismo è delicato, e deve fare i conti con l’esigenza di prevenire possibili obiezioni costituzionali. Perché «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso», recita l’articolo 97, e nell’interpretazione consolidata lo stesso passaggio è obbligato anche per entrare nei ruoli dirigenziali, considerati un livello separato dal resto del pubblico impiego. Ma l’obbligo di concorso, aggiunge lo stesso articolo, può trovare eccezione «nei casi stabiliti dalla legge»; ed esempi di carriera senza concorso non mancano già nella Pa attuale. Basta guardare a prefetti, diplomatici o ai vertici dei penitenziari: lì il concorso serve ad accedere alla «carriera», che poi si sviluppa sulla base di valutazioni individuali.

L’ambizione è di estendere quel modello, nei limiti e con i meccanismi che saranno dettagliati in un disegno di legge a cui a Palazzo Vidoni lavorano da tempo. L’impostazione a cui dar corpo è quella delineata dallo stesso Zangrillo nel suo tentativo di modificare i sistemi di valutazione dei dirigenti; a partire dalla direttiva del 30 novembre 2023 in cui si punta sulla valutazione diffusa, che coinvolge pari grado, dipendenti e utenti, per superare la classica impostazione verticale e si chiede di mettere sotto esame capacità “immateriali” come quella di valorizzare le attitudini del personale, incentivarne la produttività e garantire il benessere organizzativo: tutti temi cruciali nella pratica, ma marginali nei concorsi che non riescono ad abbandonare l’attenzione prioritaria alla conoscenza di norme e regolamenti.

Il percorso, si diceva, non è semplice né breve. Ma è giudicato cruciale anche per rendere la prospettiva dell’ufficio pubblico più seducente anche agli occhi di chi non avrebbe problemi a trovare spazio nel privato, in una concorrenza resa particolarmente evidente dai dati brillanti dell’occupazione di questi mesi. Il tema si pone in modo particolare per le competenze digitali essenziali negli uffici di oggi e ancora più indispensabili in quelli di domani: e proprio per queste professionalità dovrebbero farsi largo percorsi di carriera (e di retribuzione) più vivaci, sulla falsariga di quel che si sta tentando ora, ma con più di una resistenza, con la nuova area delle «elevate qualificazioni».

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