Nella mobilità volontaria l’assegno anti-tagli di stipendio è riassorbibile
La legge di stabilità del 2014 (comma 458 della legge 147/2013) ha abrogato l'articolo 202 del Dpr 3/1957 che disponeva, anche per i segretari comunali e provinciali, il mantenimento del trattamento economico goduto nell'ultima sede di servizio; dalla sua entrata in vigore, quindi, al segretario comunale nominato presso un ente di fascia inferiore non può più essere garantita la retribuzione di posizione acquisita nella fascia più alta di provenienza o di iscrizione.
L’assegno
La Cassazione (sentenza 16849/2018) chiarisce che l’abrogazione non si estende a tutti i pubblici dipendenti, in modo particolare in presenza della mobilità volontaria, la cui disciplina resta esclusivamente quella prevista dall'articolo 30 del Dlgs 165/2001. Il caso affrontato dalla Cassazione riguarda la mobilità volontaria di personale che reclamava, prima della legge di stabilità 2014, il mantenimento della retribuzione più alta dell'ente di provenienza (agenzia del Demanio) rispetto all'ente di destinazione (ministero), mediante un assegno ad personam non riassorbibile e pensionabile. I ricorrenti hanno chiesto l’applicazione dell’articolo 202 del Dpr 3/1957, secondo cui «nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica».
Pa statale e non
Secondo i giudici di legittimità l’articolo 202 non è espressione di un principio generale, applicabile indistintamente a tutti i dipendenti pubblici, ma si deve interpretare nel senso che la disciplina relativa all'assegno ad personam concerne solo i passaggi di carriera nella Pa statale, ma non quelli nelle amministrazioni non statali. In considerazione della sua specialità, la normativa non può essere estensibile alla diversa ipotesi della mobilità volontaria, disciplinata dall'articolo 30 del Dlgs 165/2001, perché si tratta di cessione di contratto e non di cessazione della carica precedentemente rivestita. In quest’ultimo caso, la regola generale è quella dell'applicazione del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi di comparto dell'amministrazione cessionaria; non si giustifica una diversità di trattamento, salvi gli assegni ad personam attribuiti per rispettare il divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito, tra dipendenti dello stesso ente, a seconda della provenienza.
Le conseguenze operative
La mobilità volontaria realizzata dal dipendente comporta quindi che gli assegni ad personam siano destinati a essere riassorbiti negli incrementi del trattamento economico complessivo spettante ai dipendenti dell'amministrazione cessionaria. Gli enti locali che attivano procedure di mobilità volontaria, quindi, all'inserimento del dipendente nella propria organizzazione dovranno verificare la differenza del trattamento economico complessivo dell'amministrazione di provenienza e, in caso di differenza di emolumenti fissi e continuativi, conferire un assegno ad personam riassorbibile con i successivi rinnovi contrattuali fino a raggiungere il trattamento stipendiale dei dipendenti dell'amministrazione di arrivo.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 16849/2018