Fisco e contabilità

Pagamenti della Pa, sono 5.687 gli enti ancora in ritardo cronico

Debiti commerciali. I risultati 2020 migliorano ma nel 31,7% dei casi i termini di legge sono superati <br/>

di Gianni Trovati

L’anno scorso per la prima volta la Pubblica amministrazione ha rispettato in media i tempi di pagamento fissati dalla legge per le fatture ai fornitori. Ma quando mettono insieme realtà molto diverse fra loro, le medie nascondono i problemi. Perché alle imprese che aspettano di vedersi pagato il proprio lavoro i risultati complessivi, che pure segnano un miglioramento continuo interessano fino a un certo punto. Il dato che le riguarda più da vicino è quello puntuale, registrato dall’amministrazione a cui vendono beni o servizi. E spesso, molto spesso, i numeri sono ancora sconfortanti.

Il monitoraggio ufficiale del ministero dell’Economia mostra infatti che anche nel 2020 sono stati 5.687 gli enti pubblici che hanno pagato sistematicamente in ritardo i propri fornitori. Imponendo loro un tempo di attesa che in 2.138 casi ha superato di almeno un mese i limiti fissati dalla legge e in 229 Pa ha superato i 100 giorni oltre le scadenze. Un’eternità. In pratica, a far aspettare troppo è ancora il 31,7% delle Pa censite, escludendo dal calcolo i 4.204 uffici che hanno indicato «zero» alla voce pagamenti denunciando che c’è qualche problema anche nella raccolta dei dati.

Il confronto è effettuato rispetto ai 30 giorni (60 per la sanità) imposti dalle normative europee. L’Italia le ha recepite ma sta faticando ad applicarle, al punto che l’anno scorso è stata condannata dalla Corte Ue e rischia sanzioni se non riuscirà a limitare le patologie. Perché l’occhio europeo guarda la realtà più che la Gazzetta Ufficiale. E la realtà indica che il diritto delle imprese al pagamento in tempi certi è ancora parecchio violato. Si spiega anche così l’aumento dei debiti commerciali pubblici dai 48,9 miliardi del 2019 ai 51,9 dell’anno scorso stimato da Eurostat e rilanciato ieri dalla Cgia di Mestre.

Quelli riferiti alle singole amministrazioni sono dati complessivi riferiti alle fatture dell’anno: per cui un ritardo medio di 100 giorni indica che molte imprese hanno dovuto aspettare ancora di più. I numeri sono ponderati per i valori di ogni fattura.

L’elenco dei ritardatari è sterminato, e abbraccia enti di ogni tipo. Non mancano i ministeri, come il Viminale che nel 2020 ha visto scadere oltre 390mila fatture per 2,43 miliardi di euro: ha pagato l’81,7%, con un tempo medio di 67 giorni e un ritardo di 18 (i dati sono ponderati per gli importi di ogni transazione). Praticamente analogo il comportamento del ministero della Giustizia, che ha liquidato il 75,4% delle fatture chiedendo un’attesa media di 17 giorni oltre il calendario di legge, mentre per chi si è messo in coda allo Sviluppo economico il bonifico-tipo è arrivato 16 giorni oltre i termini. Tra i ministeri che muovono gli importi più significativi hanno fatto bene la Difesa (2 giorni di anticipo in media) e l’Economia (19 giorni di anticipo). Il pagatore più veloce del governo è il ministero delle Politiche agricole, che ha onorato i propri debiti 24 giorni prima di quanto chiesto dalla legge: ma i suoi accrediti sono stati di 89,2 milioni.

Tra i grandi pagatori in affanno nel 2020 c’è stato anche il commmissario straordinario per l’emergenza Covid: che ha fatto acquisti per 2,03 miliardi, ha pagato 1,15 miliardi (il 56,6%) e ha fatto mediamente aspettare 15 giorni di troppo.

Anche sul territorio la geografia del ritardo è variegata, ma punta ancora una volta decisamente a Sud. Il fenomeno si verifica nella sanità, dove l’Ats di Milano con i suoi 4,86 miliardi di acquisti ha il record italiano nel volume delle fatture ma brucia i tempi con 19 giorni medi per i pagamenti (41 in meno dei tetti di legge) mentre quella di Cosenza, chiamata a pagare meno di 520 milioni, impiega in media 82 giorni con un ritardo di 22 sulla tabella di marcia legale. E lo stesso accade fra i Comuni, con Milano che se la cava in 28 giorni, Roma che ne richiede 37 e Napoli che invece ne impone 108. E sono infatti concentrati a Sud, con l’eccezione di Torino, gli 812 Comuni che aspettano in questi giorni il salva-bilanci dal governo, sotto forma di emendamento al sostegni-bis in discussione alla Camera, per evitare di finire in dissesto schiacciati dall’obbligo di ripianare i debiti prodotti dalle anticipazioni sblocca-pagamenti del 2013-2015.

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