Amministratori

Partecipate, no al ripiano dei debiti delle società in perdita strutturale

Corte dei Conti: in questi casi il soccorso finanziario è ammesso solo a fronte di un credibile piano di recupero di efficienza

immagine non disponibile

di Dario Immordino

Posto che non sussiste a carico del socio pubblico, anche se unico socio, alcun obbligo di procedere al ripiano delle perdite o all'assunzione diretta dei debiti di una società partecipata, tale possibilità risulta preclusa nel caso in cui la stessa si trovi in condizioni deficitarie strutturali, a causa di reiterate perdite di esercizio. In simili circostanze il soccorso finanziario è ammesso unicamente, a tutela dell'interesse pubblico, in presenza di una documentata e motivata prospettiva di recupero dell'economicità e dell'efficienza della gestione dei servizi svolti dal soggetto partecipato, ed in ogni caso l'intervento dell'ente pubblico non può realizzarsi attraverso un mero ripiano a consuntivo.

Lo ha rilevato la Corte dei conti, sezione di controllo della Lombardia, con la deliberazione 31/22, sulla base della constatazione che ai rapporti finanziari degli enti pubblici istituzionali con le partecipate si applicano le regole di diritto comune, in forza delle quali nelle società di capitali per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (articoli 2325 e 2462 c.c.), e solo in ipotesi particolari è prevista eccezionalmente la responsabilità illimitata del socio unico (art. 2325, comma 2 e art. 2462 comma 2, Codice civile) o del soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento di cui agli art. 2497 e seguenti del Codice civile. Considerato che le fonti di diritto pubblico non prevedono alcuna deroga a tale regime, anche il socio pubblico, al pari di qualunque socio di capitali, deve ritenersi obbligato nei confronti della società nei limiti della quota capitale detenuta, salvo che si trovi direttamente esposto nei confronti dei creditori sociali.In ragione di ciò il socio pubblico che ripiani i debiti della propria società, rinunciando al limite legale della responsabilità patrimoniale, di fatto aggrava il proprio bilancio, pubblico, con l'assunzione di debiti di un terzo soggetto, in assenza di valide ragioni giustificative.

L'impermeabilizzazione del bilancio dell'ente pubblico rispetto alle vicende concernenti la gestione finanziaria della società partecipata, oltre ad esprimere un principio consolidato nel regime generale della responsabilità patrimoniale, assolve ad una fondamentale funzione di salvaguardia dei principi di equilibrio della finanza pubblica e sana gestione finanziaria delle risorse della collettività. Ma il divieto di soccorso finanziario costituisce anche una regola pro concorrenziale, poiché il ripiano "automatico" ed illimitato delle perdite delle società partecipate conferisce loro un notevole vantaggio rispetto alle altre aziende che operano nei medesimi ambiti di mercato.

Tuttavia, con riferimento all'universo delle partecipate pubbliche, questo regime rigoroso ha trovato applicazione molto limitata, ed è stato spesso aggirato attraverso varie forme di ripiano a carico dei bilanci pubblici, gravati negli anni da ingenti esborsi di risorse. Per contrastare la diffusa elusione di queste fondamentali regole il regime generale dei rapporti finanziari tra socio pubblico e società partecipata è stato successivamente integrato attraverso la disciplina del Testo unico delle società partecipate che prescrive il cd. "divieto di soccorso finanziario" delle società partecipate "che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali" (art. 14, comma 5).

La delibera rileva al riguardo che, al di là dell'effetto pratico di presidio degli equilibri di finanza pubblica, detta disciplina promuove il progressivo affermarsi di una filosofia dei rapporti finanziari tra socio pubblico e società partecipata, caratterizzata dalla tendenza ad abbandonare "la logica di salvataggio obbligatorio degli organismi in condizione di irrimediabile dissesto, anche nell'ottica delle regole europee che vietano ai soggetti che operano nel mercato di fruire di diritti speciali od esclusivi". Trattandosi di un regime che presidia primari interessi di rango costituzionale il divieto generale di soccorso finanziario degli organismi partecipati "decotti" costituisce una regola generale, di applicazione estensiva, che non tollera deroghe o eccezioni riferibili a variabili quali la natura o tipologia delle spese da ripianare ovvero il comportamento del socio in sede di assemblea, salvo che non siano previste da espresse previsioni normative. Ciò posto l'eccezionalità della crisi pandemica ha indotto il legislatore ad adottare, nel c.d. decreto semplificazioni del 2021, una disciplina eccezionale a favore delle partecipate che, in ragione della pandemia, abbiano dichiarato perdite di esercizio, escludendo l'esercizio 2020 dal calcolo del triennio degli esercizi in deficit che precludono il soccorso finanziario; la norma specifica, tuttavia, che tale parziale neutralizzazione del divieto di sostegno finanziario non può costituire strumento per eludere e aggirare i divieti previsti, per le società in perdita ultra triennale, dal regime ordinario.

Al di là di questa disciplina eccezionale il Testo unico delle società partecipate prevede un temperamento di ordine generale del divieto di soccorso finanziario, disponendo che "sono consentiti i trasferimenti straordinari alle società di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dalla Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti con le modalità di cui all'articolo 5, che contempli il raggiungimento dell'equilibrio finanziario entro tre anni".

Detta disciplina realizza una forma di contemperamento tra le esigenze di tutela degli equilibri di finanza pubblica e delle regole di sana gestione e quelle di garantire una gestione efficiente dei servizi e delle prestazioni svolte dalle società partecipate a favore della collettività.In questa prospettiva il soccorso finanziario del socio pubblico è ammesso in presenza di due condizioni: rilevanza dei servizi e delle prestazioni erogate in relazione ad un significativo interesse pubblico e prospettive di concreto risanamento della società attraverso il finanziamento pubblico, certificata da un apposito piano validato dall'autorità competente in relazione all'ambito di riferimento.

Sotto il primo profilo la motivazione del finanziamento straordinario alla società partecipata non può limitarsi ad un tautologico richiamo all'interesse pubblico, o a generiche indicazioni in merito alla rilevanza delle attività svolte dal destinatario del finanziamento, ma deve specificare con precisione le ragioni fattuali e giuridiche dello "specifico interesse pubblico perseguito in relazione ai propri scopi istituzionali", esplicitando " le ragioni economico-giuridiche dell'operazione le quali, dovendo necessariamente essere fondate sulla possibilità di assicurare una continuità aziendale finanziariamente sostenibile, non possono non implicare, tra l'altro, una previa e adeguata verifica delle criticità che generano le perdite, i necessari accertamenti volti ad individuare eventuali responsabilità gestionali imputabili agli amministratori societari, nonché una compiuta valutazione circa l'opportunità di conservazione in vita dell'organismo partecipato o del semplice mantenimento della partecipazione…"( cfr, Corte dei conti, Sezione controllo Veneto, deliberazione 18/2021).

In sostanza un ente locale che intenda assorbire a carico del proprio bilancio i risultati negativi della gestione di un organismo partecipato è tenuto a dimostrare lo specifico interesse pubblico perseguito in relazione ai propri scopi istituzionali, in relazione alla rilevanza delle prestazioni erogate, e l'esistenza di concrete possibilità di risanamento sulla base di una approfondita analisi delle attività svolte, delle cause del deficit accumulato, della affidabilità della strategia per il ritorno in bonis, e della idoneità delle iniziative previste nel piano di risanamento. La certificazione della affidabilità del piano di risanamento da parte dell'autorità di regolazione del settore e la sottoposizione al vaglio della Corte dei conti mirano a garantire la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'efficienza ed economicità delle prestazioni erogate dal soggetto partecipato la validazione. Al di fuori di questo perimetro ogni forma di ripiano, diretto o occulto, dei debiti di società partecipate realizza indebite forme di utilizzo delle risorse pubbliche ed espone gli amministratori coinvolti alla conseguente responsabilità erariale.

Ciò perché, in assenza delle condizioni previste, l'esborso a carico dei bilanci pubblici finalizzato al ripiano delle perdite delle società partecipate costituirebbe "un'elusione dell'intento del legislatore di razionalizzazione societaria in ambito pubblico". L'esigenza di tutela delle risorse pubbliche, però, impone anche l'ottemperanza ad altre fondamentali condizioni: l'operazione di sostegno deve, in ogni caso, rispettare i principi di cui agli artt. 202-204, D. Lgs. 267/2000 con riferimento agli equilibri di bilancio e ai vincoli di indebitamento, e deve altresì "(…) deve ritenersi fortemente limitata per le amministrazioni locali, considerato l'uso di risorse della collettività, l'ammissibilità di interventi a sostegno di organismi partecipati mediante erogazione o, comunque, dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, che appaiono privi quantomeno di una prospettiva di recupero dell'economicità e dell'efficienza della gestione dei soggetti beneficiari" (Corte dei conti, sezione contr. Liguria, deliberazione n. 84/2018/PAR).Al di là dell'esistenza di un interesse pubblico a garantire la continuità e l'efficienza dei servizi pubblici svolti dagli organismi partecipati, infatti, è evidente che trattandosi comunque di risorse pubbliche, anche questo genere di finanziamenti deve rispettare il fondamentale principio di equilibrio di bilancio cui agli artt. 81 e 97 Cost.

La strumentalità rispetto ad interessi primari, riconducibili a fondamentali principi di rango costituzionale, rende il divieto di soccorso finanziario un principio di ordine pubblico economico, precettivo e vincolante, di stretta e generale applicazione, come tale applicabile anche al finanziamento "di società a partecipazione pubblica totalitaria" (Corte dei conti, Sezione controllo Piemonte, deliberazione n. 119/2021/PAR e Veneto, deliberazione n. 18/2021/PAR)..Si è così affermata nella prassi e nell'orientamento della giurisprudenza contabile una tendenza all'applicazione estensiva di questa regola, che ne ha consentito l'applicazione anche in relazione alle società poste in liquidazione (Sezione controllo Lombardia deliberazione n. 71/2015/PAR e n. 108/2020/PRSE).

Se anche non realizzano il presupposto formale del divieto di soccorso finanziario, consistente nelle reiterate perdite di esercizio, infatti, le società in liquidazione ne realizzano il presupposto sostanziale, concernente la mancanza di una concreta prospettiva di risanamento e di efficiente erogazione di prestazioni e servizi pubblici, condizione indispensabile per la fruizione di risorse pubbliche, tanto più se straordinarie.La sottoposizione alla procedura di liquidazione comporta, infatti, che dette società "rimangono in vita senza la possibilità di intraprendere nuove operazioni rientranti nell'oggetto sociale, ma al solo fine di risolvere i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, compresi quelli relativi alla ripartizione proporzionale tra i soci dell'eventuale patrimonio netto risultante all'esito della procedura e non possono, per definizione, prospettare alcuna possibilità di recupero o risanamento".

Ciò posto la delibera affronta il profilo contabilistico delle operazioni di soccorso finanziario concernente l'accantonamento delle risorse utilizzate previsto dall'art. 21 del TUSP, che assolve alla funzione di "neutralizzare prospetticamente le ricadute negative delle gestioni societarie, riducendo le capacità di spesa dell'ente pubblico partecipante" (cfr, sez. contr. Sicilia, del. 25/2021, Sez. contr, Lazio, del. n. 66/2018/PAR e sez. contr. Sicilia del. n. 119/2019).Al riguardo al Corte precisa che l'obbligo di accantonamento di quote di bilancio, in conseguenza di risultati gestionali negativi degli organismi partecipati, non determina per l'ente socio alcun obbligo di provvedere al ripiano delle perdite né l'assunzione diretta dei debiti del soggetto partecipato , e che lo svincolo dell'importo accantonato è subordinato all'avvenuto ripiano della perdita da parte della partecipante, alla dismissione della partecipazione e alla sottoposizione dell'organismo partecipato ad una procedura di liquidazione ((Sezione delle autonomie, deliberazione n. 23/SEZAUT/2018/FRG; Sezione controllo Lombardia, deliberazione n. 296/2019/PAR cit.).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©