Personale

Per le fasce di flessibilità oraria rischio attesa fino a Natale

Il contratto impone il negoziato con i sindacati che richiede fino a 60 giorni

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

La flessibilità di orario per l’entrata e l’uscita dal luogo di lavoro come strumento volto al contenimento della diffusione della pandemia. Se come affermazione di principio è certamente condivisibile, la reale applicazione presenta un percorso articolato, la cui conclusione non è vicina nel tempo. E questo può vanificarne lo scopo.

Come evidenzia il decreto del ministro per la Pubblica Amministrazione, le fasce orarie di flessibilità vengono allargate allo scopo di diluire i trasferimenti dei dipendenti che raggiungono il luogo di lavoro e di evitare assembramenti all’inizio e alla fine del servizio. Stante la finalità, prima di procedere in tal senso è necessario effettuare un’analisi puntuale dei mezzi di trasporto utilizzati dai lavoratori e dei loro orari. Sul territorio sono presenti, infatti, numerose realtà, di dimensioni molto contenute, nelle quali i pochi dipendenti utilizzano quasi esclusivamente la propria autovettura per raggiungere il luogo di lavoro, con la conseguenza che l’operazione «ampliamento fasce flessibilità» non ha alcun effetto.

Allo stesso modo è necessario capire quali siano le possibili alternative a disposizione dei lavoratori, per entrambe le variabili, mezzi di trasporto e orari. Infatti l’amministrazione potrebbe ben decidere di ampliare la flessibilità, ma nessun effetto fra quelli sperati viene ottenuto se il dipendente non ha altre opzioni a disposizione rispetto a quelle che sta utilizzando. Risulta evidente la difficoltà di questa analisi su numeri significativi di dipendenti nonché il lasso temporale, necessariamente ampio, per arrivare a una fotografia sufficientemente affidabile.

Ammettendo di riuscire a superare il primo scoglio, l’amministrazione, intenzionata a procedere in tal senso, amplia le fasce; ma, prevede il decreto, nel rispetto del sistema delle relazioni sindacali previsto dai contratti nazionali.

Ad esempio, nel contratto delle Funzioni Locali, i criteri per l’individuazione delle fasce orarie di flessibilità in entrata e in uscita sono oggetto di contrattazione, la quale può richiedere, come lasso temporale massimo 60 giorni. Ora, pur pensando di partire immediatamente, si arriva, come termine ultimo, alla vigilia delle vacanze natalizie. E il decreto ha validità che termina il 31 dicembre.

Andando oltre anche a questo aspetto, l’ampliamento della flessibilità deve andare oltre quella già presente. Ma non sarà sufficiente individuare nuovi orari che rappresentino il temine iniziale e finale di entrata e di uscita, ma sarà necessario determinare forme di incentivazione per i dipendenti all’uso della maggiore flessibilità.

È infatti del tutto evidente che se nessun lavoratore decidesse di utilizzare le nuove possibilità offerte, lo scopo non verrebbe raggiunto. In questo ambito si potrebbe arrivare alla necessità di rimodulare l’orario, prestando particolare attenzione, però, ai lavoratori in part-time, per i quali le modifiche devono essere concordate.

Infine, un dubbio. L’aumento della flessibilità comporta, quale conseguenza diretta, una riduzione della fascia di compresenza dei dipendenti. Ma questo non ha effetti negativi sulla «celere conclusione dei procedimenti» che lo stesso decreto vuole preservare?

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©