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Permessi legge 104, convivenza non significa coabitazione

Non si intende come vicinanza continuativa e ininterrotta alla persona disabile

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di Consuelo Ziggiotto e Salvatore Cicala

Nel rapporto di pubblico impiego, il concetto di assistenza a persona disabile con handicap grave, sia nell'ambito dell'istituto previsto dalla legge 104/1992, sia in quello di cui al decreto legislativo 151/2001, ai fini della concessione al dipendente pubblico dei relativi permessi, non va inteso come vicinanza continuativa ed ininterrotta alla persona disabile.

Il concetto di «convivenza» non deve necessariamente coincidere con quello di coabitazione, perché quello che rileva, per legge, ai fini della fruizione dei benefici concessi al dipendente per assistere il disabile è l'esigenza di soddisfare i bisogni di quest'ultimo in un momento della giornata in cui diversamente rimarrebbe privo di aiuto e di assistenza.

Questa interpretazione normativa si rinviene dai diversi orientamenti giurisprudenziali della corte di cassazione e viene di recente richiamata anche dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, nella sentenza (assolutoria) n. 261/2021.

Un'amministrazione provinciale, a seguito di una indagine interna, aveva accertato l'utilizzo improprio da parte di un dipendente dei permessi e dei congedi per la cura del genitore disabile.

Sottoposto a procedimento disciplinare, il dipendente veniva licenziato senza preavviso, per poi essere reintegrato nel suo posto di lavoro dal giudice di primo grado.

Chiusa la partita sul fronte giuslavorista, la vicenda si è spostata sul tavolo della magistratura contabile.

La Procura regionale ha convenuto in giudizio il dipendente ritenendolo colpevole di aver cagionato un significativo danno erariale all'amministrazione di appartenenza in conseguenza dell'intervenuta indebita fruizione di permessi (danno quantificato in oltre 70mila euro).

Per la magistratura contabile la richiesta di risarcimento del danno avanzata dall'organo requirente deve essere integralmente rigettata.

La ratio di tale decisione risiede nei diversi orientamenti giurisprudenziali consolidati che tracciano il concetto di «convivenza» richiesto dalla norma per beneficiare dei permessi e dei congedi per l'assistenza a persona disabile con handicap grave.

La giurisprudenza ordinaria, amministrativa e contabile ha chiarito che il concetto di assistenza a persona disabile con handicap grave, sia nell'ambito dell'istituto previsto dalla legge 104/1992, sia in quello di cui al Dlgs 151/2001, ai fini della concessione al dipendente pubblico dei relativi permessi non va inteso come vicinanza continuativa ed ininterrotta alla persona disabile.

I giorni di assenza possono essere considerati di assistenza anche quando questa si concretizza in modalità e forme diverse dalla ordinaria presenza fisica ovvero attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell'interesse del familiare assistito (nella fattispecie, la convenuta si era recata in altra località per curare interessi di natura patrimoniale relativi a beni immobili di proprietà del famigliare disabile).

La prospettazione accusatoria basata sul presupposto che l'assenza della condizione di «coabitazione» rende illegittimo l'utilizzo dei permessi in questione, viene cassata dalla magistratura contabile lombarda.

Sul punto, si afferma nella sentenza, se è vero che il presupposto per la concessione del beneficio risulta essere la convivenza, è altrettanto vero che l'interpretazione giurisprudenziale del dato normativo si è consolidata nell'ammettere un concetto di convivenza non coincidente con quello di coabitazione, risultando invero necessario esclusivamente che venga assicurata in favore del parente disabile un'assistenza abituale e costante.

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