Personale

Polizia locale, nessun danno alla salute se per il servizio infrasettimanale festivo viene riconosciuta solo l'indennità di turno

Non si applica il trattamento economico per attività prestata in giorno festivo e riposo compensativo

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di Consuelo Ziggiotto e Salvatore Cicala

Dalla sentenza della Corte di cassazione, sezione Lavoro, n. 40208/2021 arriva l'ennesima conferma del consolidato orientamento secondo il quale al personale che lavora su turni che sia chiamato a prestare servizio in giorno festivo infrasettimanale o domenicale, senza superamento del limite orario settimanale, spetta esclusivamente l'indennità di turno (articolo 22 del contratto del 14 settembre 2000, attualmente disciplinato dall'articolo 23, comma 5, del contratto del 21 maggio 2018) e non si applica il trattamento economico per attività prestata in giorno festivo e riposo compensativo di cui all'articolo 24 del contratto del 14 settembre 2000 (si veda NT+Enti locali & Edilizia del 14 luglio 2021).

La sentenza è interessante perché affronta l'ipotesi della sussistenza del danno da usura psico-fisica nel caso di mancato godimento del riposo il settimo giorno (riposo, comunque concesso alcuni giorni dopo) e da lì la possibilità di applicare il trattamento economico dello straordinario per l'attività lavorativa resa nel giorno domenicale.

Un dipendente turnista del corpo di polizia locale di un comune, ha chiesto al proprio ente il riconoscimento del compenso per lavoro straordinario festivo per aver lavorato la domenica (in eccedenza rispetto alle 36 ore settimanali).

Di diverso avviso si è espresso il datore di lavoro. Per l'ente, i diritti dei lavoratori turnisti sono regolati dall'articolo 22 del contratto del 14 settembre 2000.

Cosicché, di fronte a prese di posizioni contrapposte, il lavoratore ha portato la questione sui tavoli giudiziari. In sede di contenzioso il dipendente ha chiesto il risarcimento del «danno biologico» conseguente all'usura psicofisica per non aver goduto del riposo settimanale.

Sia il giudice del lavoro che la Corte di appello hanno ritenuto di accogliere la posizione dell'ente così il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione.

In primo luogo gli ermellini hanno evidenziato che le regole contrattuali (articolo 22 e 24 del contratto del 14 settembre 2000) non sono in contrasto con norme costituzionali, segnatamente con l'articolo 36, comma 3 (diritto al riposo settimanale).

Infatti, stessa Corte, già in passato (pronunce n. 146/1971 e n. 101/1975) ha evidenziato che il Costituente ha sostanzialmente inteso esprimere (con il diritto, irrinunciabile e perfetto, al riposo settimanale) il concetto della periodicità del riposo (nel rapporto di un giorno su sei di lavoro), senza con ciò escludere la possibilità di discipline difformi in relazione alla diversa qualità ed alla varietà di tipi del lavoro, sempreché si tratti di situazioni idonee a giustificare un regime eccezionale, con riguardo ad altri apprezzabili interessi, e comunque non vengano superati i limiti di ragionevolezza sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto alla tutela degli interessi del lavoratore soprattutto per quanto riguarda la salute dello stesso.

Ne consegue che la regolazione di tale diritto può essere varia, funzionale all'esigenza di adattamento alle diverse tipologie di lavoro e la relativa disciplina può essere disposta non solo da norme di legge ma anche da contratti collettivi di lavoro, non essendo materia posta sotto riserva di legge.

Violazione che non risulta rinvenibile neanche in relazione al diritto comunitario (cfr. Corte di Giustizia Ue, sezione II, 9 novembre 2017 n. 306).

Ultimo aspetto esaminato dalla cassazione è la distinzione tra l'ipotesi di «danno da usura psico-fisica» conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro dall'ulteriore danno alla salute (o danno biologico) che si concretizza, invece, in una «infermità» del lavoratore causata da una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali.

Alla prima fattispecie corrisponde un'obbligazione retributiva che consta nei compensi e nelle maggiorazioni previste dai contratti nazionali di lavoro.

Per la risarcibilità, invece, del danno alla salute occorre una specifica dimostrazione, sia nella sua sussistenza che nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall'illecito contrattuale.

Dal quadro sopra delineato, la Cassazione ha rigettato il ricorso promosso dal dipendente e lo condanna al pagamento delle spese di lite.

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