Il CommentoFisco e contabilità

Recovery Fund nazionale, gap e opportunità territoriali nel piano per gli investimenti

di Ettore Jorio

Al lordo delle feste ferragostane, mancano meno di due mesi alla scadenza fissata per presentare, a cura del Governo, il Recovery Fund nazionale. Cioè il Piano dettagliato degli investimenti e delle riforme che si intenderanno realizzare con i 209 miliardi di euro messi a disposizione dall'Ue, in gran parte a fondo perduto (81,4). Un programma di spesa che dovrà essere assistito da una esaustiva analisi specifica e da un cronoprogramma da rispettare severamente, pena la perdita delle risorse equivalenti a qualche molto probabile inadempimento incidentale.

Il problema che si pone, al fine di completare bene l'inizio dell'opera, è quello riferito al fabbisogno reale da soddisfare con queste risorse, ovviamente differenziato nel Paese quanto agli investimenti programmati. Diverse le esigenze primarie delle Regioni. Divari ineguali da colmare tra Nord e Sud. Povertà cui sopperire nelle realtà locali ad economia spesso inesistente. Sono gli handicap cui dovere rimediare per affidare e rendere credibili i progetti che l'Ue pretende per aspirare a una Europa di eguali fatta da Stati membri formati da territori e comunità il più possibile indifferenziati quanto a opportunità di crescita e sviluppo.

Quindi, ci sarebbe stato bisogno - prima di supporre di risolvere il problema ricorrendo a iniziative marketing ma dal prodotto non affatto concreto, del tipo la convocazione dei cosiddetti Stati generali, e soprattutto prima di mettere la penna sul foglio da esibire - di approfondire i gap da colmare per singola Regione e per tipologia degli enti locali, soprattutto di quelli del Mezzogiorno. Insomma, sarebbe occorso un bell'impegno interistituzionale a 40° all'ombra.

Ciò per fare sì che gli obiettivi di assicurare una diffusa maggiore ricchezza infrastrutturale e offrire il passo a impegnative riforme strutturali, da perfezionare rispettivamente in sette e quattro anni (perentori), vengano puntualmente centrati. Una aspettativa, questa, non facile a essere altrimenti preliminarmente condivisa dall'Ue e, dunque, abilitata a trasformarsi in una realtà godibile dall'insieme nazionale attraverso la puntuale erogazione dei fondi da percepire secondo la convenute metodologia degli «stati di avanzamento».

In una tale generosa occasione di accedere a finanziamenti sino a ieri impensabili, non si può, infatti, prescindere da un Paese che lavori monoliticamente e goda, nella sua interezza, di quanto serva per il suo radicale e più omogeneo cambiamento. Perché pervenga a una apprezzabile perfomance istituzionale attraverso una volontà unitaria che, per essere tale, non può che essere rappresentativa della più puntuale progettualità del sistema autonomistico territoriale, tenuto poi a realizzare concretamente la quasi totalità degli obiettivi pretesi dall'Ue.

Se cambiamento significa realizzare - attraverso il complessivo impegno delle infrastrutture e gli esiti delle riforme strutturali - una Pa efficiente, processi civili più rapidi, ottimizzazione della spesa pubblica, un efficace contrasto al lavoro sommerso, all'evasione fiscale e alla corruzione, un prelievo fiscale equo, una sostenibilità dei bilanci pubblici e una eguale esigibilità dei diritti di cittadinanza non può non può ricorrersi al massimo della complicità istituzionale. Alla consacrazione di un evento sinergico straordinario che - caratterizzato dal giusto grado di concorrenzialità tra soggetti diversi ma impegnati a lavorare e decidere nella più illuminata solidarietà - debba riconoscere lo stato di artefici della materializzazione dei progetti elaborati in tale senso agli enti territoriali, concreti esecutori delle rispettive policy nel pieno della autonomia che la Costituzione riconosce loro.