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Recupero inerti in rotta di collisione con le nuove regole Mite sull'«end of waste»

Si avvicina l'entrata in vigore del regolamento finalizzato all'economia circolare, ma se non sarà modificato - ammoniscono i gestori dell'Anpar - sarà un boomerang

di Mariagrazia Barletta

L'Italia si dota di un regolamento end of waste per il riciclo sia di rifiuti inerti derivanti da operazioni di costruzione e demolizione che di rifiuti inerti di origine minerale. La bozza di decreto del ministero della Transizione ecologica, in elaborazione da oltre tre anni, è stata notificata lo scorso 14 marzo alla Commissione Ue per espletare la procedura informativa cui sono sottoposte le regolamentazioni tecniche (il termine del periodo di standstill è previsto per il 15 giugno 2022). Le aziende avranno 180 giorni di tempo dall'entrata in vigore per conformarsi alle nuove disposizioni (l'adeguamento è un obbligo). Il nuovo regolamento, come tutti quelli sull'end of waste, (quello sugli inerti non sarà l'unico, ma è il più importante), nascono per accelerare la transizione verso un'economia circolare.

Secondo però i produttori di aggregati riciclati, se la bozza di regolamento sui rifiuti inerti non sarà emendata, gli impianti italiani di riciclo di inerti si fermeranno e con essi anche il settore delle costruzioni, per mancanza di siti per il conferimento dei propri rifiuti inerti.
L'obiettivo dei regolamenti end of waste è, per definizione, quello di facilitare il raggiungimento del traguardo della cessazione dello stato di rifiuto per alcuni materiali che dunque, dopo una prima vita, possono con maggiore facilità essere immessi nuovamente sul mercato come prodotti in grado di competere con le materie prime vergini. Il tutto stabilendo dei paletti, in modo che il riutilizzo di materia avvenga senza pericolo per la salute umana e senza pregiudizio per l'ambiente. «Certamente un regolamento sull'end of waste potrebbe semplificare il lavoro delle aziende e quello degli enti che sono tenuti a rilasciare le autorizzazioni, dando indicazioni univoche, e non equivocabili, sul processo che l'azienda deve seguire per trasformare il rifiuto in prodotto», riferisce Paolo Barberi, presidente dell'Anpar, l'associazione che riunisce i produttori di aggregati riciclati. Il presidente elenca diversi elementi positivi contenuti nello schema di decreto, come: la semplificazione sulle verifiche riguardanti il materiale in ingresso negli impianti di riciclo; la possibilità per i produttori, una volta trasformato il rifiuto in prodotto, di poter accorpare tra loro lotti di prodotti omogenei; l'innalzamento del limite del contenuto di solfati e di cloruri all'interno dell'eluato nei test di cessione; l'elenco delle normative moderne di riferimento sia per la conformità che per l'idoneità all'uso dei prodotti.

Emerge, però, «una grave criticità», sottolinea Barberi. Il punto dolente, rileva l'Anpar, si concretizza nella tabella (allegato I, punto d.1 dello schema di Dm) relativa ai controlli sul prodotto finale, che stabilisce le concentrazioni limite di amianto, idrocarburi aromatici e aromatici policiclici nell'aggregato recuperato. I valori della tabella contenuta nello schema di decreto sono mutuati dalla normativa sulla bonifica dei suoli e, più nel dettaglio, riprendono alcuni valori delle tabelle del Dlgs 152 del 2006 che stabiliscono le concentrazioni soglia di contaminazione per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale. Concentrazioni che riguardano precise sostanze nocive e che, se superate, fanno presumere che il sito sia potenzialmente contaminato e allora scattano le indagini del caso. Due le incongruenze secondo l'Anpar: il prodotto viene trattato nello schema di Dm alla stregua di un rifiuto e paragonato ad un suolo da bonificare, facendo riferimento ad usi agricoli o residenziali, benché gli aggregati riciclati siano oggi in larga parte utilizzati per infrastrutture viarie.

«Innanzitutto – continua ancora Barberi -, non si comprende il motivo dell'assimilazione di un prodotto da costruzione, cioè gli aggregati da recupero, ad un suolo, né tantomeno il confronto con limiti tabellari che non sono neppure correlati all'effettivo impiego degli aggregati, i quali sono in grandissima parte utilizzati nelle infrastrutture viarie che hanno quasi esclusivamente una destinazione urbanistica, industriale o commerciale e non residenziale. Va evidenziato che tra i parametri di controllo sono ricomprese alcune sostanze che sono costituenti e non contaminanti del rifiuto iniziale che, per forza di cose, si ritrovano anche nel prodotto end of waste e in concentrazioni difficili da determinare a priori e tanto meno regolabili durante il processo di recupero, ma con molta probabilità ben superiori ai limiti stabiliti».

Dunque, i limiti sarebbero inutilmente severi, ma soprattutto andrebbero differenziati a seconda degli usi, secondo gli operatori del settore, che hanno riattivato un confronto con il ministero della Transizione ecologica «interrotto a luglio 2020», riferisce Barberi, trovando «disponibilità all'ascolto da parte del ministero» (Anpar aveva fatto parte di un tavolo tecnico istituito dal ministero dell'Ambiente ai fini della redazione della norma). «Non abbiamo alcun intento bellicoso, ma nel momento in cui questo decreto, così come è stato mandato all'Europa, sarà ufficiale e attuativo, gli impianti di recupero di rifiuti inerti dalle attività di costruzione e demolizione saranno costretti a chiudere e di conseguenza il mondo delle costruzioni si bloccherà per la mancanza di siti per il conferimento dei propri rifiuti inerti. Noi non diciamo che chiuderemo per protesta, ma purtroppo saremo costretti a chiudere», rimarca il presidente.

«Stiamo elaborando – continua - un dossier fatto di certificati analitici che le nostre aziende stanno facendo sui propri prodotti, agendo come se questo decreto fosse già pubblicato e operativo. Dai primi risultati emerge che per quanto riguarda gli Ipa e gli idrocarburi pesanti, i prodotti sono sempre fuori tabella». «Consideri – aggiunge - che per il 90% i nostri prodotti vengono utilizzati per fare strade; quindi, certamente nulla hanno a che vedere con i suoli agricoli o residenziali». «La tabella (allegato I, punto d.1 dello schema di Dm, nda) contiene peraltro alcuni elementi che non sono pertinenti ai rifiuti inerti dalle attività di costruzione e demolizione, nel senso che i solventi organici non si trovano nei nostri rifiuti e di conseguenza prodotti; ci obbligano a cercarli e questo comporterà un aggravio di costi. Ripeto un aggravio di costi inutile perché non ci possono essere».

La richiesta dei produttori è di rivedere i limiti che definiscono i requisiti di qualità ambientale degli aggregati riciclati e differenziare le concentrazioni limite per sostanza a seconda degli usi. «Noi abbiamo anche proposto di mantenere i limiti restrittivi (presenti nello schema di Dm, nda) per le opere di ingegneria naturalistica, per le rimodellazioni del territorio, per i ripristini ambientali di cave dismesse, e di renderli meno severi per la costruzione di un piazzale, di un parcheggio, di una strada, un riempimento di fondazioni», spiega ancora il presidente. Secondo l'ultimo rapporto Ispra sui rifiuti speciali, i rifiuti provenienti dalle attività di costruzione e demolizione nel 2019 hanno raggiunto i 68,3 milioni di tonnellate e il tasso di recupero è stato del 78,1%. Un risultato certamente virtuoso. E, i rifiuti minerali da costruzione e demolizione rappresentano un flusso importante, pari a 46,9 milioni di tonnellate e qui la percentuale che viene preparata per il riutilizzo, il riciclaggio, e il recupero è pari al 77,3%, escludendo gli inerti reimpiegati nelle colmatazioni.

«Quindi quello che noi possiamo dire oggi è che, se il decreto andrà in vigore così com'è adesso, noi passeremo realisticamente nel 2023 da un livello di riciclaggio di circa il 78% a un livello di riciclaggio che probabilmente non supererà il 10%», ragiona Barberi. «Bisognerebbe capire - conclude - che noi abbiamo l'interesse a lavorare bene perché i nostri impianti comportano investimenti di milioni di euro, danno lavoro a migliaia di persone a livello nazionale. Io mi sento di garantire che dei circa 1800 impianti, autorizzazioni, che ci sono in Italia per il recupero di rifiuti inerti, la stragrande maggioranza è gestita da aziende serie che hanno interesse a lavorare nella legalità».

I PRINCIPALI CONTENUTI DEL DM
La nuova procedura
La bozza di regolamento stabilisce le condizioni affinché alcuni rifiuti inerti possano, a seguito di operazioni di recupero, non essere più considerati rifiuti e diventare aggregato recuperato per rientrare nel ciclo economico. Sarà stesso il produttore ad autocertificare, con una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che l'aggregato recuperato rispetta i criteri stabiliti dal Dm e conserverà per cinque anni un campione per ciascun lotto prodotto. La conservazione del campione per cinque anni non si applica però alle imprese che aderiscono ad un sistema di gestione (secondo la Uni En Iso 14001 o registrazione Emas). L'iter che consente di avviare l'attività di recupero è estremamente più snello rispetto anche a quanto oggi stabilisce il Dm 5 febbraio 1998. Il regime semplificato – va ricordato – è attualmente codificato dal Dm del 1998 che fissa, per i rifiuti non pericolosi, gli standard che consentono di autorizzare l'esercizio dell'attività di recupero secondo un iter semplificato, alternativo alle procedure ordinarie, più complesse, definite dal Codice dell'Ambiente.

La nuova disciplina applicata a 18 codici di rifiuti non pericolosi
La nuova disciplina dell'end of waste si applica ad una lista di inerti molto più ristretta rispetto a quella contenuta nel Dm del 1998. In tutto sono 18 voci del Catalogo europeo dei rifiuti (Cer), di cui otto derivanti dal capitolo 17, rubricato Rifiuti dalle attività di demolizione e costruzione. Nella categoria rifiuti inerti provenienti da attività di costruzione e demolizione troviamo: il cemento, i mattoni, le mattonelle e le ceramiche, miscugli o scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, miscele bituminose (non contenenti catrame di carbone), terre e rocce da scavo (non contenenti sostanze pericolose), pietrisco per massicciate ferroviarie (privo di sostanze pericolose), rifiuti misti dell'attività di costruzione e demolizione (privi di mercurio, Pcb e sostanze pericolose). Sono esclusi i rifiuti abbandonati o sotterrati, dunque anche i rifiuti da terremoto.

Per i rifiuti inerti di origine minerale, non derivanti da attività di costruzione e demolizione, la lista è leggermente più lunga e comprende: scarti di ghiaia e pietrisco, scarti di sabbia e argilla, polveri e residui affini, rifiuti prodotti dal taglio e dalla segagione della pietra, residui di miscela di preparazione non sottoposti a trattamento termico, scarti di ceramica, di mattoni, di mattonelle e di materiali da costruzione (sottoposti a trattamento termico), stampi di scarto costituiti esclusivamente da sfridi e scarti di prodotti ceramici, da sfridi di laterizio cotto e argilla espansa. Rientrano nel secondo elenco, inoltre, anche i rifiuti provenienti dalla produzione di materiali compositi a base di cemento, i minerali (sabbia, rocce, etc..) e i residui di materiale di sabbiatura, costituiti solo da sabbie abrasive di scarto (privi di sostanze pericolose).

Per la produzione di aggregati riciclati, i rifiuti in ingresso devono essere decontaminati, dunque vanno eliminati eventuali materiali contenenti amianto, apparecchiature contaminate da bifenili policlorurati (Pcb), guaine bituminose, rivestimenti ed isolanti potenzialmente pericolosi, etc.. «In via preferenziale - si legge nello schema di Dm -, i rifiuti ammessi non provengono da manufatti sottoposti a demolizione selettiva». Per verificare che i rifiuti rispondano alle caratteristiche richieste dal regolamento, i produttori di aggregato riciclato devono dotarsi di un sistema per il controllo di accettazione dei rifiuti che, nel caso di registrazione Emas o di certificazione ambientale Uni En Iso 14001, è integrato nel sistema di gestione ambientale.

Impiego consentito anche per calcestruzzi e miscele
Gli aggregati recuperati secondo le nuove disposizioni end of waste potranno essere impiegati per diverse finalità, anch'esse definite dal nuovo Dm. Gli aggregati potranno essere utilizzati per realizzare il corpo di rilevati di opere in terra di ingegneria civile, sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali e di piazzali civili o industriali. Potranno inoltre essere impiegati nel recupero ambientale e nella realizzazione di colmate e riempimenti, nonché per il confezionamento di calcestruzzi e miscele legate con leganti idraulici. L'uso del prodotto riciclato è consentito anche per la realizzazione di strati accessori con funzioni anticapillare, antigelo e drenante.

I requisiti dell'aggregato recuperato
Il decreto fissa anche le concentrazioni limite di alcune sostanze considerate nocive che potrebbero essere presenti nell'aggregato recuperato, stabilendo le soglie che non devono essere oltrepassate. Si tratta di amianto, idrocarburi aromatici e aromatici policiclici ed altre sostanze. Ogni lotto di aggregato deve inoltre essere sottoposto a test di cessione, ossia una prova che serve per verificare il rilascio di contaminanti che non devono superare le concentrazioni limite fissate dal regolamento stesso. Rispetto a quanto stabilito dal Dm 5 febbraio 1998, vengono innalzate le concentrazioni limite per solfati e cloruri, che passano rispettivamente da 250 a 750 mg/l e da 100 a 750 mg/l. Sono esclusi dal test di cessione gli aggregati destinati al confezionamento di calcestruzzi di cui alla norma Uni En 12620 con classe di resistenza Rck/leq non inferiore a 15Mpa.

Altri decreti sarebbero in dirittura di arrivo
Sarebbero già pronti anche altri decreti ministeriali che regolano la cessazione della qualifica di rifiuto, tra questi, i Dm end of waste per il vetro sanitario, per i rifiuti da spazzamento stradale. È quanto si apprende dalla risposta ad un'interrogazione alla Camera presentata da Tullio Patassini (Lega), cui ha fornito risposta il 10 marzo Ilaria Fontana, sottosegretario di Stato per la Transizione ecologica. Da quanto si apprende sempre dal question time , altri due Dm sono stati sottoposti ai pareri dell'Ispra e dell'Iss. Si tratta nello specifico dei Dm dedicati ai «rifiuti di gesso proveniente dalla demolizione del cartongesso e del gesso per la produzione di manufatti in gesso recuperato, nonché dei rifiuti del pulper (scarti di plastiche miste provenienti dalle cartiere) per la produzione di plastiche miste». «È stata condotta – riferisce ancora il sottosegretario - una prima consultazione con gli stakeholders in relazione ad altri tre schemi di decreto in corso di istruttoria. Si tratta dei rifiuti di membrane bituminose per la produzione di additivi destinati alle miscele bituminose, rifiuti da plastiche miste per la produzione di poliolefine in granuli da destinare a varie applicazioni e rifiuti tessili per la produzione di fibre tessili recuperate».

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