Il CommentoAmministratori

Regioni, la burocrazia pubblica dovrà fornire buona prova di sé

di Ettore Jorio e Antonio Felice Uricchio

A metà febbraio il ministro Calderoli, dopo avere conquistato il primo sì del Governo, ha trasmesso alle Regioni una circolare di 81 pagine (NT+ Enti locali & Edilizia del 24 febbraio) perché le stesse potessero fare ciò che loro spetta. Ovverosia un gran lavoro ricognitivo propedeutico a dare pratica contezza a quanto assegnato nella legge di bilancio per il 2023 alla neo istituita Cabina di regia (commi 791-802): definizione dei Lep per materia (25 in totale) e determinazione dei costi e fabbisogni standard per sostenerli uniformemente e per renderli esigibili ovunque. Conseguito il sì definitivo lo scorso16 marzo, ci sarà in tale senso, di qui a qualche giorno, l'immancabile sollecitazione alle Regioni sui ritardi sino a ora registrati nell'adempiere. Dunque, iniziato il countdown, Regioni in ansia e in affanno (NT+ Enti locali & Edilizia del 1° marzo).

La chiamata "alle armi" delle Regioni
Il loro compito non sarà affatto facile. Per alcune impossibile, atteso che con difficoltà riescono a sapere, allorquando si usa la mano destra, cosa faccia quella sinistra. In questo appuntamento, importantissimo per il Paese, si dovranno affrontare tanti costi in termini di impegno tecnico per saldare le cambiali firmate in tanti anni di incuranza sulle performance reali della burocrazia. Quelle retribuite con premialità spesso immeritate, divenute comunque la quattordicesima e la quindicesima mensilità stipendiale a regime nella Pa.
Insomma, la burocrazia pubblica regionale dovrà fornire una buona prova di sé. Dovrà quindi imparare ciò che non sa, fare quanto non è abituata ad adempiere, arrivare a conclusioni utili a rafforzare la unità sostanziale della Repubblica in epoca di regionalismo differenziato. Per arrivare a questo deve evitare sovrastrutture inutili e puntare sui burocrati capaci, ricorrendo in difetto a giovani esperti esterni, ma che siano veramente tali e non già del tipo quelli forniti tramite le solite assistenze tecniche in uso al consumo politico.
Ebbene, è trascorso quasi un mese dal ricevimento della anzidetta circolare Calderoli – con questo si è consumato il terzo mese sui dodici che la Cabina di regia ha a disposizione per i suoi stressanti adempimenti – e non si ha affatto contezza dello stato dei lavori regionali. Le carte passano da un ufficio all'altro e nessun nero su bianco appare ancora nella sua esaustività. E dire che i compiti assegnati alle Regioni, con l'obbligo di consultare la rete dei loro enti locali, sono tanti e anche complicati. Dovranno, infatti:
• evidenziare lo stato e la qualità legislativa di dettaglio, quanto alle venti materie di competenza concorrente, perfezionato dalle Regioni, relazionato ai principi fondamentali fissati dallo Stato, nonché quello afferente all'esercizio della relativa potestas regolamentare;
• relativamente a quest'ultima, dovranno provvedere altresì alla ricognizione dell'attività regolamentare cui le medesime hanno adempiuto, in virtù di apposita delega ad hoc, riguardo alle cinque materie di competenza esclusiva statale, scandite nell'elenco di cui all'anzidetto articolo 116, comma 3, della Costituzione (giudice di pace, norme generali dell'istruzione, tutela dell'ambiente, dell'eco sistema e dei beni culturali);
• inventariare le attività amministrative espletate direttamente ovvero dagli enti locali in virtù di apposite deleghe, dai quali assumere le più utili informazioni in proposito;
• effettuare una capillare ricognizione del finanziamento goduto, mediante i trasferimenti statali, sulla base del criterio della spesa storica riferita, però, all'ultimo triennio;
• rendicontare l'effettuazione della relativa spesa sostenuta per ciascuna delle anzidette venticinque materie.
Non solo. Le Regioni avranno il dovere di rappresentare il loro stato quali-quantitativo di esercizio legislativo, individuando per ciascuna di esse i Lep e la spesa inerente sostenuta, sule materie di loro competenza esclusiva, in quanto residuate al netto di quelle statali e concorrenti. Un impegno improbo che darà agli enti regionali un gran da fare, attesa l'importanza che le stesse rivestono nella crescita e nello sviluppo e, dunque, nel superamento della crisi. A citarne qualcuna, esse afferiscono all'agricoltura, all'artigianato e industria, all'edilizia e urbanistica, alle politiche occupazionali, al turismo, molte delle quali saranno ovviamente da considerare funzionali ad un esercizio trasversale delle competenze legislative e regolamentari nonché delle funzioni amministrative delle materie che si riterranno acquisire a quelle esclusive regionali ex articolo 116 della Costituzione (solo per fare un esempio, tra quelle statali: ambiente; tra quelle concorrenti: tutela della salute e alimentazione; da aggiungere alle residuali: assistenza, agricoltura, turismo salutare e acque minerali).
In buona sintesi, le Regioni - e con esse il sistema autonomistico locale, che dovrà rendersi iperattivo nell'evento - dovranno fare analisi e sintesi di quanto esercitato in ragione delle novità introdotte nelle revisioni costituzionali del 2001 e del 2012. Saranno tenute quindi a dare prova della conoscenza delle regole e della loro corretta applicazione in termini di finanza pubblica, non disdegnando l'autocritica e la proposta da rappresentare all'attenzione del ministero per gli Affari regionali e le autonomie. Il tutto maggiorato dall'impegno di evidenziare il grado di insufficienza del gettito fiscale, impegnandosi tuttavia a rafforzare il proprio sistema di riscossione dei tributi e delle tariffe, di gran lunga malandato in quasi tutto il Mezzogiorno, sbilanciandosi anche in previsioni di miglioramento del loro stato di efficienza (NT+ Enti locali & Edilizia del 27 febbraio).

L'occasione per divenire migliori legislatori
Per intanto, occorre che le Regioni imparino a fare culturalmente proprio il requisito dell'autonomia che in tanti difendono senza saperla bene esercitare ovvero contraddicendosi con quanto fatto. Tanti sono stati gli esempi nei quali decisori regionali (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), siano essi anche consiglieri, hanno fatto propria, per esempio, l'opzione offerta dall'articolo 116 della Costituzione, arrivando a firmare, nel 2018, Accordi in tal senso con il Governo.
Prioritariamente, necessiterebbe cominciare a confrontarsi - scevri da ogni strumentalizzazione politica che è di casa in situazioni simili - sul regionalismo differenziato ovvero asimmetrico vero e proprio, piuttosto che su una cosa chiamata autonomia differenziata, senza esercitare alcuna "lotta politica" alla Costituzione. Cominciando dalla saggia considerazione che l'autonomia è di per sé differenziazione, altrimenti che autonomia sarebbe, diventerebbe soggezione e appiattimento istituzionale. Tutt'al più, per dare un corretto significato all'argomento occorrerebbe aggiungere al sostantivo un ulteriore aggettivo, quello di legislativa, così come pretenderebbe la lettera dell'articolo 116 della Costituzione introduttivo dell'opportunità per le Regioni di assumere, per l'appunto, una autonomia legislativa differenziata, da perseguire con libera opzione.
In un tale processo di crescita conoscitiva del loro essere enti territoriali autonomi, soprattutto in grado di esercitarlo, sarà importante affrontare con grande impegno il suddetto lavoro preparatorio. Ciò perché di decisiva portata per i successivi adempimenti assegnati dalla legge 197/2022 alla Cabina di regia, da ossequiare entro il 31 dicembre prossimo in combine con la Commissione tecnica (comma 794), impegnata nella determinazione dei costi e fabbisogni standard inerenti ai Lep dei diritti civili e sociali (articolo 117, comma 2, lettera m, della Costituzione).

Il risultato è la prova del nove
Per fare sì che dalla ricognizione emergano dati corretti e risultati dimostrativi dello stato della capacità legislativa di dettaglio e regolamentare nonché l'efficienza amministrativa assicurate dalle singole Regioni alla collettività necessita un lavoro molto accurato. Al riguardo, vi è la necessità che la stessa venga affidata ad una dirigenza altamente performativa ed impegnata ad hoc e non marginalmente. Occorrerà soprattutto un forte senso di autocritica nel compilare i format sottoposti, non disdegnando di sottolineare anche le inefficienze registrate e le diseconomicità realizzate sino ad oggi. Con il perfezionamento di un tale gravoso adempimento istituzionale è giunto il momento di offrire, prima riconoscendoli, soluzione ai limiti e ai vizi storici e attuali che hanno impedito a tante Regioni di non essere, ove mai, tra gli enti regionali più efficienti. Basta, insomma, con le solite dichiarazioni di buona pratica teorica riconosciuta autoreferenzialmente.

Il lavoro preparatorio richiede precisione chirurgica
Tantissime le difficoltà, e non solo per le Regioni solitamente indietro in termini di prodotto normativo e amministrativo. É facile immaginare quanto sia per talune quasi impossibile adempiere alla obbligazione istituzionale intimata dal ministro Calderoli con l'approssimarsi delle scelte che le Regioni dovranno fare in relazione alle opzioni da effettuare tra le venticinque materie disponibili.
Di conseguenza, toccherà loro apprendere di cosa e di quali valori economici si dovrà tenere conto per esercitare saggiamente l'opzione di cui all'articolo 116 della Costituzione. Dovranno essere bravi a scomporre la spesa storica goduta per materie o ambiti di esse e valorizzare il delta negativo determinatosi, costituente la ricorrente causa di disavanzi inenarrabili e della mancata erogazione di servizi e prestazioni essenziali. Un impegno improbo anche perché lo stesso va assolutamente comparato con i valori di finanziamento che saranno verosimilmente assegnati, certamente in incremento per il Sud per tantissime delle ripetute materie, con l'applicazione dei costi/fabbisogni potenziati con il sostegno della più ragionevole perequazione. Quest'ultima da garantire in modo coordinato, sia in relazione alla parte corrente che in conto capitale, unificando ove necessario alle risorse ordinarie quella straordinarie indispensabili per assicurare la perequazione infrastrutturale.