Appalti

Revisione prezzi: «Il Re e il suddito, il rapporto fra stazione appaltante e operatore economico»

Nella prospettiva del nuovo codice si tenga conto dell'assoluta urgenza di mettere a punto contratti-tipo cogenti e standardizzati

di Giorgio Lupoi (Presidente Oice)

In un recente articolo, pubblicato in questa sede dal sempre attento e preparato Mauro Salerno, sono stati riportati i contenuti del parere n. 1371 del Servizio giuridico del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili.

In tale parere il Ministero afferma che il meccanismo compensativo legato al rincaro dei materiali è previsto soltanto per i lavori pubblici e che non è "invece, previsto alcun adeguamento dei corrispettivi dovuti per servizi". Una stazione appaltante aveva chiesto se, a fronte dell'adeguamento dell'importo dei lavori imposto dall'art. 26 del D.L. n. 50/2022 (c.d. Decreto Aiuti), fosse possibile ricalcolare altresì la parcella relativa ai servizi legati alla fase esecutiva (direzione lavori e CSE), da determinare tenendo conto dei nuovi importi dei lavori. Sosteneva la stazione appaltante, in particolare, che le parcelle professionali relative ai suddetti servizi dovessero essere adeguate al nuovo importo dei lavori anche in considerazione dell'obbligo di revisione prezzi introdotto dall'art. 29 del D.L. 27 gennaio 2022, n. 4 anche in relazione ai servizi.

Il parere nega decisamente, come detto, tale possibilità e offre però lo spunto per qualche precisazione affinché le amministrazioni non traggano conseguenze ancora più estreme rispetto a quanto ha affermato il Ministero e per qualche riflessione e di carattere generale, sul tema dei rapporti fra operatori economici (in particolare dell'ingegneria e dell'architettura) e Stazioni appaltanti, spesso modellati sullo schema "Re-suddito".
Tutto nasce come è noto dall'applicazione dell'articolo 26 del "decreto Aiuti" che, da un lato impone alle stazioni appaltanti l'adeguamento dei prezziari entro il 31 luglio e dall'altro prevede che, nelle more di tale adeguamento, possa essere riconosciuto all'impresa un importo "fino al 20%" in più dell'importo derivante dai prezziari in vigore. Nel successivo comma 6 la norma stabilisce anche che si possa procedere alla rimodulazione del quadro economico degli interventi; in sostanza a parità di importo totale si potrebbero ridurre le quantità ma aggiornate all'adeguamento dei prezziari o all'adeguamento "fino al 20%".

La ratio legis è tenere conto degli straordinari aumenti dei costi dei materiali, non più in linea con i prezziari vigenti, considerando che di recente sono anche andate deserte alcune importanti gare di lavori.
Orbene, da un mese e mezzo a questa parte accade che i RUP chiedano:
a) a chi sta progettando o ha appena consegnato un progetto, di rivedere il quadro economico dell'intervento per fare si che l'opera progettata, ma ancora non oggetto di gara per i lavori, sia ridefinita con applicazione dei nuovi prezzi ma all'interno del quadro economico finanziato;
b) a chi ha consegnato un progetto, di rivedere i computi metrici;
c) ai direttori dei lavori, di ricalcolare gli importi per emettere i sal di compensazione per l'adeguamento dei prezzi.
"In ipotesi", una distratta stazione appaltante, portando alle estreme conseguenze quanto affermato dal MIMS, potrebbe sostenere che mai e poi mai al prestatore di servizi di ingegneria e di architettura sia dovuto un corrispettivo per quanto svolto in adempimento della norma e su richiesta della stazione appaltante.
Questo non è accettabile, né possibile.

Il lavoro svolto deve sempre essere remunerato, soprattutto nel caso in esame in cui l'anomalo rincaro dei materiali è stato per legge definito evento imprevisto e imprevedibile. Se infatti una norma di legge impone un adempimento, non previsto al momento della stipula del contratto, non deve porsi in dubbio la legittimità di una integrazione del compenso professionale per quanto svolto, da valutare in applicazione della disciplina sulle variazioni contrattuali di cui all'articolo 106 del codice appalti e da calcolare secondo quanto previsto nel "decreto parametri".

Lo stesso "decreto parametri" prevede che in caso di prestazioni aggiuntive in corso di esecuzione dei progetti o in fase di redazione della contabilità si debbano applicare alcune aliquote per incrementare l'importo dei compensi professionali. Su questo abbiamo dato chiare indicazioni ai nostri associati.
Sostenere il contrario significherebbe peraltro anche trascurare un dato generale: la remunerazione delle attività extra svolte sulla base delle richieste formulate dalle stazioni appaltanti ai progettisti e ai direttori dei lavori, rappresenta un profilo non contemplato dal decreto Aiuti – ai fini dello svolgimento dei servizi – nelle sue ricadute economiche semplicemente perché regolato in altra sede, in quella contrattuale.
Ciò detto, la vicenda affrontata dal MIMS riporta però al tema fondamentale della struttura del rapporto contrattuale (squilibrato) fra committente pubblico e operatore del settore delle professioni tecniche. La stipula di contratti a prezzi fissi e invariabili lede la dignità del contraente privato, peraltro soggetto anche ai "ricatti" connessi all'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 80 del codice appalti (risoluzione in danno, segnalazione all'Anac, ecc. ecc.) e costringe il progettista o il direttore dei lavori a sottostare a dinamiche financo da indebito arricchimento.
Così non si può andare avanti.
Anche in vista del nuovo codice dei contratti pubblici, in mano alla Commissione speciale del Consiglio di Stato, riteniamo che la tematica del riequilibrio di questo rapporto debba essere considerata centrale nel processo di riforma del codice appalti in fieri, perché la logica Re-suddito nel XXI secolo non può più avere ragion d'essere e perché i rischi di un'esplosione dei contenziosi sono ormai dietro l'angolo con ricadute pericolosissime anche per l'attuazione degli interventi del PNRR.
Si parta da bandi per fatti, con adeguata documentazione e indagini già previste e remunerate a parte, per poi aggiudicare ad offerte corrette dal punto di vista qualità/prezzo, per poi stipulare contratti chiari, equilibrati, con meccanismi revisionali e dando anche la possibilità di apporre riserve, per fino ad arrivare a pagamenti in tempi congrui. Per questo ci vuole un contratto-tipo cogente.
E non a caso la delega che il Consiglio di Stato è chiamato a tradurre in un nuovo codice appalti reca anche un importante riferimento ai "contratti-tipo" che l'Anac dovrebbe mettere a punto. Non si farebbe un soldo di danno, in questo caso, se si cogliesse l'occasione anche per "importare" i contenuti delle clausole Fidic, standard internazionali consolidatissimi, caratterizzati da grande equilibrio, trasparenza e chiarezza, da adattare al nostro più complesso sistema giuridico.
L'auspicio è che come per la fase di gara l'Anac è riuscita a compiere un importante lavoro emettendo i bandi tipo, così nella prospettiva del nuovo codice si tenga conto dell'assoluta urgenza di mettere a punto contratti-tipo cogenti e standardizzati, per quanto si può.
Per rispetto della dignità e dell'impegno delle società di ingegneria e architettura e dei singoli ingegneri e architetti che le compongono, così come di ogni altro operatore economico che mai e poi mai dovrebbe essere trattato come un suddito.

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