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Riordino dei servizi pubblici locali, per Fondazione Astrid è una rifoma «timida»

Ma il decreto, che rientra tra gli impegni assunti dall'Italia per il Pnrr, deve comunque essere approvato nei tempi previsti, e quindi entro il mese di dicembre

di Stefano Pozzoli

Una riforma "timida". Così il position paper della Fondazione Astrid, presieduta da Franco Bassanini, uno dei principali think tank italiani, definisce il decreto di riordino dei servizi pubblici locali nel suo ultimo position paper (Astrid n. 87, Servizi pubblici locali: verso una timida riforma).

Per Astrid il decreto, che rientra tra gli impegni assunti dall'Italia per il Pnrr, deve comunque essere approvato nei tempi previsti, e quindi entro il mese di dicembre. Non si nasconde, però, la propria delusione, per quella che viene considerata una riforma modesta e sostanzialmente priva di visione.

Secondo il gruppo che lo ha redatto, il «paper muove dunque dalla convinzione che sia necessario rispettare gli impegni presi nel contesto di PNRR in modo sostanziale e non meramente formale». Per questo si sostiene che non ci si possa fermare a questo e che occorra «una riforma più ambiziosa di quanto previsto nello schema di decreto di riordino». Per altro, «sembra mancare un chiaro collegamento con il TUSP e il Codice degli Appalti, con il risultato di avere due tipi di "in house": uno disciplinato dal decreto e l'altro che continua a seguire le consuete modalità». Inoltre «il decreto introduce nuovi adempimenti, che rischiano di gravare sugli enti territoriali, senza apparentemente alcun effetto positivo».

Perché, ancora, non rivedere il Tusp, ammodernandone il contenuto e, soprattutto, intervenire sulle disposizioni di settore, che sono le norme che più rilevano in una ottica industriale?

Occorre anche riflettere su come trattare gli altri organismi controllati (aziende speciali, fondazioni, eccetera) a cui vanno estese le disposizioni del Tusp. Altrimenti sarà sempre più forte la tentazione di rinunciare alle società di capitali, rifugiandosi in modelli aziendali inidonee alla realtà di impresa.

Ancora, «si continua a considerare l'in house solo in un'ottica di mercato, mentre occorrerebbe verificare e sanzionare, in primo luogo, i casi di irregolarità che riguardano il corretto funzionamento del modello di gestione (es. mancata approvazione dei bilanci di esercizio, controllo analogo non finalizzato al buon funzionamento della società, ecc.)».

L'in house è una modalità di governo di un servizio, non un sotterfugio, e come tale deve essere trattato dal Legislatore, che dovrebbe in primo luogo garantirne il buon funzionamento, verificando la qualità del servizio ed il rispetto delle regole. Astrid, a questo proposito, evidenza un dato eclatante, che ritrova nella Relazione della Sezione Autonomie della Corte dei conti in merito agli Organismi partecipati dagli enti territoriali e sanitari (Delibera n. 15/2021). Da tale documento, infatti, risulta che circa 400 società attive, alla data della rilevazione (maggio 2021), non avevano ancora approvato il bilancio 2018.

Sotto questo aspetto non ci può essere tolleranza: dopo un ragionevole lasso di tempo tali affidamenti, se in house providing, vanno revocati. È irragionevole che si sanzioni severamente il superamento della percentuale di produzione di mercato ma si tolleri il fatto che centinaia di aziende semplicemente ignorano le disposizioni di legge sulla trasparenza dei bilanci, con le conseguenze che ne derivano.

Ancora, per Astrid occorre proseguire nello sforzo di ridurre il numero delle società pubbliche, soprattutto favorendo i processi di aggregazione, oggi colpevolmente non regolati dal Tusp.

Infine, si deve intervenire su due fronti: rigore ma anche semplificazione. Semplificazione che deve riguardare non solo il Tusp, ma anche tutte quelle norme che sono state estese alle società a controllo pubblico, dando semplicisticamente prevalenza alla loro natura pubblica piuttosto che alla essenza di soggetto imprenditoriale, ancorché orientato ai servizi pubblici.

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