Il CommentoFisco e contabilità

Rivedere il progetto Pnrr per individuare gli investimenti strutturali necessari da mettere a terra entro il 2026

di Ettore Jorio

Maledetta manutenzione che non c'è stata! Maledetta manutenzione che assorbe la quasi totalità dei fondi Pnrr. Due maledizioni che ci stanno tutte.
La prima sciagura si è concretizzata a causa di:
• una siccità ben collaborata da un impianto idrico colabrodo;
• un inquinamento marino causato dall'escherichia coli, libero di "navigare" con le correnti marine, passando nel Mezzogiorno dai coliformi fecali prodotti in una regione ad un'altra;
• alluvioni continue, segnatamente turbolente e invasive, favorite da una geografia fluviale e torrentizia abbandonata a se stessa, con argini di terracotta e una disperata presenza botanica ostruttiva dovuta all'inerzia della Pa.

Per non parlare della mancata prevenzione dai rischi idrogeologici, facilitati anche dall'assenza di un progetto di sano rimboschimento e consolidamento del terreno a rischio, di un patrimonio pubblico (per esempio, scolastico) lasciato alla mercè dei terremoti, di strutture ospedaliere senza neppure i requisiti minimi per essere utilizzati allo scopo, con rischi seri per la salute delle persone, anche essi privi di accorgimenti antisismici.

La seconda sventura. Un Pnrr che, seppure al lordo delle risorse React.eu sarebbe stato sufficiente a dare un svolta decisiva, ha riproposto per lo più progetti vecchi di 22 anni (delibera Cipe n. 121 del 21 dicembre 2001, primo programma delle infrastrutture strategiche della legge obiettivo) e ha sprecato i quattrini europei in interventi di tipo manutentivo. Insomma, ha fatto di tutto nonostante ci fosse un gran bisogno di una programmazione che cambiasse i connotati strutturali del Paese, unitamente alle riforme pretese dall'Ue come volontà reale del cambiamento dello Stato primo beneficiario, in valore assoluto, dei due principali strumenti della New Generation Eu.

Di tutto questo, nulla o quasi, con la conseguenza di dovere correggere ciò che si è sbagliato sin dalle origini.

Il nostro è un Paese avvezzo a siffatti cattivi adempimenti. Esso rappresenta la sintesi di venti Regioni, di 14 Città metropolitane, di 107 Province e 7901 Comuni, abituati a mal concepire l'investimento e a non ben rendicontare la spesa dei tanti miliardi di euro messi a disposizione dall'Europa ogni settennio funzionali alla programmazione Por e Pon. In quanto tale abituato a tradire le aspettative dell'Ue e a generare disperazione della Nazione intera, con quella meridionale con le gomme a terra.

Tante le perplessità e i dubbi sul lavoro fatto sino a oggi. Tutti consci dell'assenza di una sana programmazione dei fondi e della generale consapevolezza che quella che si è solo accennata è caratterizzata spesso dall'incoscienza di non tenere conto che con il Pnrr si investono soldi per la maggior parte presi in prestito (123 miliardi), quindi ulteriore debito, oltre a quelli a fondo perduto (69 miliardi).

Il ministro Fitto ha messo sul tappeto il problema. Soprattutto ha puntato il dito sull'esagerazione dialettica che si è fatta del Pnrr, quale strumento risolutore, rispetto a quanto realizzato e realizzabile sino a oggi. Non solo. Ha posto dei seri dubbi sugli esiti della spesa, per come programmata, quasi come un sogno a occhi aperti. E ancora. Sulla inadeguatezza della stessa in relazione alla necessità di utilizzare al meglio assoluto la più grande disponibilità di risorse europee di tutti i tempi.

L'attività recente del Ministro - finalizzata a censire a breve i ritardi e le difficoltà attuative degli investimenti in corso da parte dei diversi soggetti attuatori - è per l'appunto funzionale a una loro utile rinegoziazione con la Commissione entro fine mese (si veda NT+ Enti locali & Edilizia del 24 maggio).

Da qui, l'esigenza di rivedere il progetto Pnrr, supplicando la Commissione europea per una moratoria che ben rintraccia la sua motivazione su quanto avvenuto in Romagna, che impone di mettere nero su bianco qualcosa di nettamente diverso.

Sarebbe anche l'occasione per favorire la messa su carta dei necessari investimenti strutturali da mettere a terra entro il 2026, cominciando dalla rete idrica nazionale e da quella fognaria del Mezzogiorno, dalla messa in sicurezza del territorio e dei presidi pubblici, dalla rete dei trasporti dalla quale dipendono la fruibilità sei servizi e delle prestazioni essenziali, prima di altre quelle afferenti alla sanità, all'assistenza sociale e alla scuola.