Fisco e contabilità

Sanità convenzionata, ai pazienti fuori Regione cure pagabili extra budget

No ai limiti alla mobilità perché gli standard variano sul territorio

di Rosa Sciatta

Le prestazioni sanitarie erogate da una struttura convenzionata con il Sistema sanitario nazionale in favore dei pazienti residenti fuori dalla Regione non rilevano ai fini del raggiungimento del volume massimo delle prestazioni remunerabili, definito dalla Regione e dalla Asl per quella struttura. Questo perché si tratta di prestazioni remunerate dalla Regione di residenza dell’assistito. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza 3775 del 14 aprile 2023. Per i giudici, infatti, includere le prestazioni extraregionali nel budget annuale massimo di spesa sanitaria finirebbe per «comportare un sacrificio troppo elevato per i pazienti residenti in Regioni nelle quali le strutture sanitarie esistenti non garantiscono gli standard qualitativi pari a quelli presenti in altre Regioni»; inoltre, «porre limitazioni alla mobilità interregionale, senza porre rimedio alle sperequazioni esistenti nella distribuzione territoriale delle strutture sanitarie di eccellenza per la cura di tali patologie, implica l’adozione di una misura che viola il principio di proporzionalità, finendo per comprimere, in modo eccessivo e irragionevole, il legittimo interesse del paziente a ricevere la migliore cura per la propria patologia».

E ciò è – si aggiunge – a maggior ragione ingiusto e illegittimo se si considera che le prestazioni extraregionali non vengono sostenute dalla Regione ospitante ma dalla Regione di provenienza, tramite compensazione interregionale sulla base di una tariffa unica convenzionale determinata in seno alla Conferenza Stato-Regioni-Province autonome (si veda Consiglio di Stato 4372/2022), così che la Regione ospitante non deve anticipare somme in attuazione di quanto previsto dalle intese Stato-Regioni.

Per questo, le prestazioni sanitarie rese ai pazienti fuori Regione possono essere erogate anche oltre i tetti di spesa annuali determinati dalla Regione ospitante per quella struttura e oggetto di accordo di remunerazione.

Le indicazioni date dal Consiglio di Stato, anche se il caso esaminato riguarda un Ircss, valgono per ogni struttura privata accreditata che opera nell’ambito del Servizio sanitario sicuramente in ordine alle prestazioni sanitarie di alta specializzazione, per le prestazioni salva vita e le prestazioni di degenza ospedaliera di alta complessità, in quanto la ratio del principio è quella di ricondurre il bilanciamento tra mobilità interregionale e contenimento della spesa sanitaria nell’alveo dell’articolo 3 della Costituzione. Infatti, il paziente avrebbe diritto a ricevere dal Ssn l’erogazione delle prestazioni sanitarie e, se quella particolare tipologia di prestazione viene erogata solo o, comunque, in modo migliore da una struttura extraregionale, sarebbe illegittimo limitare la mobilità solo per perseguire un contenimento di spesa che, in realtà, appare come un “falso problema” rispetto al fondamentale obbligo di garantire uniformità nei Livelli essenziali di assistenza.

La mobilità sanitaria, essendo sintomo di un’inadeguatezza, reale o percepita, dell’offerta sanitaria, non può quindi essere considerata una stortura del Sistema sanitario da debellare con le misure di contenimento della spesa sanitaria. Anzi, la mobilità si pone come fattore perequativo che produce un effetto compensativo delle diseguaglianze e accresce la tutela complessiva del diritto alla salute a livello nazionale, soprattutto quando ostacoli di tipo geografico o economico rischierebbero di comprometterne l’effettività.

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