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Sanità territoriale: pronta la riforma da 7 miliardi, ma è emergenza personale

Servono fino a 40mila sanitari, ma è difficile trovarli e i fondi non bastano

di Marzio Bartoloni

Si sblocca il cuore della missione Salute del Pnrr con il via libera alla riforma della Sanità del territorio che porta con sé 7 miliardi di investimenti: dopo il serrato confronto in Conferenza Stato-Regioni dove si è registrata due volte la mancata intesa per la contrarietà della Campania e la decisione del Governo di andare avanti è atteso già entro domani il via libera del consiglio di Stato al decreto con «modelli e standard dell’assistenza territoriale» che precede l’approdo in Gazzetta Ufficiale. Si tratta di un tassello fondamentale per far partire quelle cure vicino alla casa degli italiani che sono drammaticamente mancate nei mesi più duri della pandemia. Un traguardo, questo, atteso entro giugno secondo il calendario del Pnrr che dà il via libera alla firma sempre entro il prossimo mese dei contratti istituzionali di sviluppo tra il ministero della Salute e le singole Regioni: nei Cis che dovrebbero essere firmati tutti insieme ci sarà il cronoprogramma e il via libera ai bandi per la costruzione di 1.350 case di comunità (2 miliardi), 400 ospedali di comunità (1 miliardo) e 600 centrali operative (300 milioni). Ma il via libera alla riforma apre le porte anche al potenziamento di cure domiciliari (2,7 miliardi) e telemedicina (1 miliardo).

Il decreto fissa nel dettaglio per ognuna delle nuove strutture sia la tipologia di prestazioni che il numero minimo e massimo di risorse necessarie per farle lavorare. E il punto nodale è proprio qui visto che proprio secondo gli standard per la nuova Sanità territoriale servono da un minimo di 26.55o tra medici, infermieri e altri operatori sanitari a un massimo di 39.800. Il problema è doppio perché non solo le risorse stanziate potrebbero non essere sufficienti, ma potrebbe essere complicato trovare la “materia prima” e cioè medici e infermieri da assumere visto che già oggi è scoppiata in pronto soccorso e ospedali l’emergenza carenza. Il Governo assicura che le risorse ci sono e cioè 1 miliardo stanziato dalla legge di bilancio dell’anno scorso per il territorio a cui si aggiungono i 480 milioni nel decreto 40 del 2020 per assumere 9.600 infermieri di famiglia. Ieri lo stesso ministro della Salute Roberto Speranza in un question time alla Camera ha assicurato che anche nella prossima manovra si farà uno sforzo.

Le Regioni però su questo fronte si lamentano: «Secondo altre stime per far viaggiare questa riforma servono almeno 2,5 miliardi, quindi manca 1 miliardo. Ma non ne facciamo un problema di cassa piuttosto di programmazione. Per questo chiediamo una attuazione graduale dei nuovi standard», spiega Raffaele Donini che è assessore alla salute dell’Emilia Romagna e coordina i colleghi delle altre Regioni. Tra l’altro proprio ieri Donini ha scritto al presidente delle Regioni Fedriga per segnalare anche che manca la copertura di 3,8 miliardi di spese sostenute per il Covid del 2021 e ne potrebbero servire altri 4 nel 2022.

Anche il presidente dell’Agenas Enrico Coscioni sottolinea la necessità di programmare: «Dovremo porci il problema di come mai siamo l’unico Paese europeo che fa durare 4-5 anni invece di tre le specializzazioni mediche e non fa lavorare anche chi è solo laureato in Medicina». Infine la presidente di Fnopi (Ordini degli infermieri) Barbara Mangiacavalli segnala come «manchino gli infermieri di famiglia da assumere, dei 9.600 previsti già nel 2020 ne sono stati trovati un terzo. C’è un problema di attrattività della professione che comincia dalle iscrizioni universitarie: bisogna lavorare su carriera e contratti più valorizzanti e nell’immediato studiare misure come la libera professione intramoenia per gli infermieri».

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