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Senza parere preventivo del revisore il contratto integrativo non è valido

Senza parere preventivo del revisore il contratto integrativo non è valido

di Gianluca Bertagna

È invalido un contratto integrativo a cui si è dato corso senza il preventivo parere dell'organo di revisione. La stessa delibera di giunta che recepisce quel contratto è peraltro illegittima. Sono queste le conclusioni della Corte di cassazione, sezione Lavoro, contenute nella sentenza n. 5679/2022.

La contrattazione integrativa si basa su fasi ben chiare e definite. Da una parte, la Corte dei conti a diversi livelli ha sintetizzato il procedimento in tre step: stanziamento, costituzione e contrattazione. I contratti nazionali, invece, sono scesi nel dettaglio per definire con più precisione la procedura. Il tutto, poi, va letto in coordinamento con gli articoli 40 e 40-bis del Dlgs 165/2001. Quest'ultimo articolo, in particolare, prevede quattro forme di controllo sugli integrativi.

Da quando la dinamica retributiva del trattamento accessorio è stata oggetto di monitoraggio particolare - ad esempio attraverso i limiti imposti dal 2011 in poi alle amministrazioni pubbliche - si è dato sempre più risalto al parere dell'organo di revisione, che deve essere rilasciato prima della stipula definitiva del contratto integrativo.

Dal punto di vista operativo, quindi, una volta stipulata l'ipotesi, l'ente deve redigere una relazione illustrativa e tecnico finanziaria da sottoporre all'esame del collegio o al revisore unico. Non si tratta di una mera formalità. Infatti, l'articolo 40-bis del Tupi afferma che qualora dai contratti integrativi derivino costi non compatibili con i rispettivi vincoli di bilancio delle amministrazioni le clausole sono nulle e non possono essere applicate.

Il contratto 21 maggio 2018 delle Funzioni locali, con l'articolo 8 comma 6, prevede però che trascorsi 15 giorni senza rilievi da parte dell'organo di revisione, l'organo di governo competente (la giunta, ad esempio, nei comuni) possa autorizzare il presidente della delegazione di parte pubblica alla sottoscrizione del contratto.

Sul punto, va detto, si era già registrata la contrarietà della Corte dei conti, come nella delibera n. 85/2020 della Sezione regionale di controllo per la Puglia, nella quale il parere (positivo) del revisore era già stato qualificato come un passaggio ineludibile.

La previsione contrattuale non viene ora condivisa neppure dalla Corte di cassazione, in quanto, si legge, la compatibilità rispetto agli strumenti di programmazione finanziari e di spesa è posta come condizione per la stipula della contrattazione decentrata. La regola, quindi, riconducendo nell'insieme la verifica del revisore al valore di requisito di legittimazione della Pa alla sottoscrizione del contratto integrativo, impedisce di ritenere la sua mancanza un mero vizio endoprocedimentale. Al contrario tale mancanza, e lo stesso può dirsi nell'ipotesi di un parere negativo, comporta l'invalidità per contrasto con fondamentali regole procedurali stabilite dal contratto, in una lettura congiunta delle disposizioni richiamate.

A nulla può servire, quindi, una deliberazione dell'organo di governo che tenti di "salvare" un contratto integrativo privo del parere dell'organo di revisione.

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