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Società in house e consulenze illegittime, danno erariale ai sindaci che non vigilano

Il mancato controllo sulla condotta del presidente e del Cda configura i requisiti di dolo e colpa grave

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di Michele Nico

Con la sentenza n. 114/2022 la Corte dei conti del Lazio ha condannato il presidente, i componenti del Cda e i sindaci di una società in house a risarcire un danno erariale per il complessivo importo di 100mila euro, oltre a spese di giudizio, interessi legali e rivalutazione monetaria, a causa di un incarico di consulenza che la società affidò nel 2013 al suo presidente, in violazione delle disposizioni di legge in materia, oltre che a fronte di un palese conflitto di interessi.

Il presidente della società, che rivestiva al tempo stesso il ruolo di dirigente della partecipata, aveva ottenuto dal Cda - a voti unanimi, salva l'astensione dell'interessato - un contratto di consulenza "knowledge owner", caratterizzato da prestazioni generiche e comunque rientranti nell'ordinario svolgimento delle attività affidate ai dipendenti della società stessa.

Il conferimento dell'incarico era avvenuto pochi giorni prima dell'entrata in vigore del Dlgs 39/2013 recante disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso la Pa e gli enti privati in controllo pubblico, ma in ogni caso una consulenza del genere, ad avviso della Corte, doveva considerarsi di per sé gravemente illegittima e foriera di danno erariale.

I giudici contabili sul punto hanno osservato che la legittimità dei conferimenti consulenziali «oltre a necessitare della mancanza di professionalità interne che possano svolgere i compiti assegnati al consulente, in ogni caso, devono avere un oggetto puntuale che indichi le prestazioni da svolgere», secondo quanto prescritto dall'articolo 7, comma 6, del Dlgs 165/2001, che costituisce una norma di principio per gli incarichi conferiti dalla Pa e dalle sue articolazioni organizzative.

La Corte rilevando l'illegittimità del conferimento ha condannato presidente della società, Cda e collegio sindacale, ponendo a carico del presidente il 60 per cento del danno erariale e il restante 40 per cento suddiviso in parti uguali tra i membri del Cda, per aver deliberato l'incarico e i sindaci per l'omessa vigilanza.

La Sezione si è soffermata in modo particolare sulla posizione del collegio sindacale, evidenziando che, trattandosi di una società in house soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti (articolo 12, comma 1, del Dlgs 175/2016), anche l'operato dei sindaci quale organo di controllo, rientra necessariamente nel perimetro di detta giurisdizione, e va sanzionato per non aver rilevato gli atti gestionali dannosi posti in essere dal Cda della società.

Sotto questo profilo, il contratto di consulenza "knowledge owner" a favore del presidente si appalesava gravemente illegittimo per violazione della normativa sugli incarichi e per conflitto di interessi, a prescindere dal fatto che, all'epoca dei fatti, non era ancora entrato in vigore il Dlgs 39/2013.

Per questa ragione i giudici non solo hanno ravvisato i requisiti di dolo e colpa grave nella condotta dei sindaci, che avrebbero dovuto svolgere in maniera accorta il ruolo di controllo che compete all'organo di vigilanza, ma hanno altresì escluso la sussistenza di una minore responsabilità dei sindaci rispetto a quella dei membri del Cda, di modo che sia gli uni che gli altri sono stati dichiarati parimenti colpevoli in ordine al danno provocato dalla cattiva gestione societaria.

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