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Spl, va chiarito che per le reti idriche la riforma non confligge con il principio dell'unicità del servizio integrato

In questo settore, il recesso può perfino comportare la cessione di fatto di beni demaniali

di Stefano Pozzoli

Tra le novità che si ritrovano decreto di riordino dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (Dlgs 201/2022) deve essere segnalata la disposizione sulle società delle reti, che si ritrova all'articolo 21, che ha però una formulazione non particolarmente felice.

Il primo dubbio che sorge è se questa possibilità è aperta anche alle reti idriche, visto che la norma confligge con il principio dell'unicità del servizio idrico integrato, introdotto, si ricorderà, dal decreto Sblocca Italia (Dl 133/2014).

In verità, in tema di gerarchia delle norme, per l'articolo 4 del decreto: «Le disposizioni del presente decreto si applicano a tutti i servizi di interesse economico generale prestati a livello locale, integrano le normative di settore e, in caso di contrasto, prevalgono su di esse, nel rispetto del diritto dell'Unione Europea e salvo che non siano previste nel presente decreto specifiche norme di salvaguardia e prevalenza della disciplina di settore».

Nell'articolo 21, il primo «fermo restando quanto stabilito dalle discipline di settore», si ritrova al comma 3, ma riguarda la sola gestione del servizio, e non la proprietà delle reti. Successivamente, al comma 5 si dice che «Gli enti locali, anche in forma associata, nei casi in cui non sia vietato dalle normative di settore, possono conferire la proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico».

Dunque, l'articolo 21 si riferisce anche al servizio idrico che da questo punto di vista, diventerebbe potenzialmente meno integrato di prima, oppure no? A nostro giudizio no, almeno per quanto riguarda la possibilità di costituire società delle reti. Sarebbe però necessario chiarirlo puntualmente, perché, quale che sia l'intenzione del legislatore, è sempre preferibile la chiarezza a uno stato di ambiguità e incertezza.

Nessuna novità, in ogni caso, in merito al fatto che «Gli enti competenti all'organizzazione del servizio pubblico locale individuano le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali essenziali alla gestione del servizio». Viene ribadito, anche il vincolo di destinazione e la incedibilità dei beni, salvo la possibilità di costituire società patrimoniali, a cui conferire la proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali «a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile» e a cui, se in house, gli enti locali possono assegnare la gestione delle reti.

Interessante, a tale proposito, è che si sia chiarito che le quote di tali società sono incedibili. Questo perché non sono mancati casi di Comuni che, per loro necessità di cassa, abbiano deliberato il recesso da società delle reti in base all'artticolo 24, comma 6, del Tusp, creando non pochi problemi agli altri soci quando non perfino rischi di continuità aziendale, essendo queste società ovviamente poco liquide e molto patrimonializzate. Nel caso dell'idrico, poi, il recesso può perfino comportare la cessione di fatto di beni demaniali, questione oltremodo discutibile.

Tali società hanno dunque la sola funzione di porre «le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest'ultima». Questo, «a fronte di un canone stabilito dalla competente autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali». Il rischio, in sostanza, è l'unica vera motivazione per cui si costituiscano delle società patrimoniali sia quella di ricevere un canone e che quindi si dia una spinta alla costituzione di organismi partecipati di dubbia utilità.

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