Fisco e contabilità

Stop al canone patrimoniale per chi gestisce acqua, luce o gas

Esenzione per chi vende i servizi e super-sconto sulle attività strumentali

di Gianni Trovati

Tra riformulazioni, correttivi e aggiunte, ha preso forma nella legge di conversione del decreto fiscale anche una revisione della disciplina del canone unico patrimoniale a carico delle società di servizi a rete. Il risultato può essere sintetizzato così: un’esenzione strutturale per i venditori dei servizi nei settori in cui le regole prevedono una separazione fra i proprietari delle infrastrutture e i titolari dei contratti di vendita all’utenza, un super-sconto, altrettanto strutturale, per le aziende che forniscono servizi strumentali alla fornitura di servizi di pubblica utilità come l’energia elettrica e il gas, che pagheranno la quota minima (praticamente simbolica) di 800 euro all’anno e un’esenzione emergenziale, per il 2021 e 2022, per i venditori di energia elettrica e gas naturale. Le prime due misure, oltre che strutturali, sono retroattive, perché l’emendamento che le contiene ha la natura di norma interpretativa. In pratica, il canone unico perde decisamente peso sulle aziende dell’energia e del servizio idrico.

Per capire l’entità della dieta, drastica, occorre addentrarsi (in breve, per carità) nella complessa tecnica che regola il canone «unico» pagato ai Comuni per l’occupazione di suolo pubblico. Il canone ha debuttato quest’anno, dopo i 12 mesi di attesa previsti dalla legge di bilancio per il 2020 che l’ha introdotto ai commi da 816 a 847, per sostituire le vecchie entrate locali, sotto forma di tasse e canoni, legate all’occupazione degli spazi pubblici. Lo stesso canone, per intenderci, è stato sospeso per tutto l’anno nel caso di bar e ristoranti, con un aiuto per gestire i distanziamenti anti-contagio che molti partiti chiedono di confermare anche per il 2022.

Ma oltre a tavolini, dehors e banchi nei mercati comunali, il canone unico patrimoniale si occupa anche del sottosuolo, dove passano i tubi e i fili che portano acqua, luce e gas nelle case e nelle imprese. Nella sua versione originaria, il canone si rivolgeva sia ai titolari della concessione sia alle aziende che «occupano» il suolo pubblico utilizzando le infrastrutture di altri per vendere i loro servizi all’utenza. A tutti questi soggetti, chiedeva una tariffa di base da 1,5 euro nei Comuni fino a 20mila abitanti e 1 euro in quelli più grandi, da moltiplicare per il numero delle utenze servite.

Il conto, in realtà, è stato spesso teorico perché si è subito sviluppato un contenzioso fra le aziende e i Comuni. Risolto ora dall’emendamento decisamente a favore delle imprese, che ricevono così un’ottima notizia in tempi resi difficili da una fiammata inflattiva concentrata in particolare proprio sull’energia. Per i Comuni, invece, si tratta di dover rifare per l’ennesima volta i conti, con il magro appoggio di un ristoro da 5 milioni di euro per la sospensione biennale del canone nell’elettricità e nel gas.

Per il resto, il lavoro dedicato agli enti territoriali nella conversione del decreto fiscale conferma le anticipazioni della vigilia. Le Regioni ottengono 600 milioni e la possibilità di utilizzare gli altri fondi emergenziali per coprire i disavanzi da Covid senza aumentare Irap e addizionale Irpef. Ai Comuni siciliani arrivano 150 milioni anti-deficit, per metà destinati a Palermo. E i coniugi che per ragioni di lavoro hanno due case in Comuni diversi ricevono la possibilità di indicare uno dei due immobili da esentare dall’Imu come abitazione principale.

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