Appalti

Subappalto, il caos normativo spinge il contenzioso: dal 2016 tre sentenze al mese

Il conto dell'Ance: dall'entrata in vigore del codice appalti 173 pronunce. Bianchi: seguiamo l'Europa in base alle convenienze

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di Mauro Salerno

Tre sentenze al mese dall'aprile 2016 a oggi. È il conto che i tribunali amministrativi, le imprese e soprattutto le infrastrutture italiane hanno dovuto pagare al gioco di tira e molla sui subappalti. Da quando è entrato in vigore il nuovo codice dei contratti - nel frattempo modificato 547 volte da ben 28 leggi diverse - il caos generato dal sovrapporsi delle regole sui subaffidamenti ha costretto i giudici di Tar e Consiglio di Stato a pronunciarsi per ben 173 volte sul tema nello spazio ristretto di 61 mesi. Segno evidente della difficoltà delle stazioni appaltanti ad applicare con semplicità norme di difficile interpretazione.

A fare il conto sono stati gli uffici dell'Associazione nazionale costruttori (Ance) che , proprio ieri pomeriggio, mentre il premier Mario Draghi incontrava i sindacati nel tentativo di sbrogliare la matassa del Dl Semplificazioni, al tema del subappalto hanno dedicato uno specifico focus on line.

È dal 2017, anno della primo avvertimento di Bruxelles sulla contrarietà dei tetti italiani alle direttive europee, che le norme italiane sul subappalto si trovano in aperto contrasto con le indicazioni arrivate dall'Unione. Nel frattempo ci sono state l'apertura di una procedura di infrazione (24 gennaio 2019) e un secondo avvertimento (27 novembre 2019) in aggiunta a due diverse sentenze della Corte europea che hanno condannato l'Italia, sancendo l'illegittimità dei tetti italiani al subappalto (30% o 40% a seconda dei momenti) e l'obbligo per i giudici e le stazioni appaltanti di non tenerne conto, disapplicandoli.

«Con questo caos normativo e questa messe di sentenze spesso contrastanti bisognerebbe chiedersi con quale tranquillità è possibile fare impresa oggi in Italia», attacca il vicepresidente dell'Ance Edoardo Bianchi. «Il problema è che ogni volta in Italia si parla di subappalti lo si fa in maniera ideologica senza tener conto di alcun aspetto tecnico - aggiunge Bianchi -. Senza tenere per esempio conto che chiunque entra in un cantiere oggi subisce una serie di radiografie che non cambiano in base alla percentuale dei subappalti ammessa dalle norme. Per questo chi dice che il testo serve ad allontanare la criminalità dalle opere pubbliche dice una castroneria».

Un pensiero condiviso dal vicepresidente Michele Pizzarotti. «Si parla di subaffidamenti come se le imprese fossero a caccia di mafiosi da fare entrare nei cantieri avendone chissà quale tornaconto - spiega -. Mentre non si capisce che avere a che fare con un'impresa segnalata dalla prefettura vuol dire rischiare di veder sparire la propria azienda insieme a tutti i suoi contratti». Basta guardare alla storia recente per capire che a qualcuno è capitato, con esiti disastrosi. «Eliminare il vincoli sul subappalto - aggiunge Pizzarotti - significa semplicemente permettere una migliore organizzazione del lavoro. Coordinare i subappaltatori non è un esercizio banale. Anzi è un lavoro di procurement spesso più complicato che seguire i lavori in diretta».

C'è solo da attendere qualche ora per capire se il Dl Semplificazioni saprà dare una risposta strutturale al problema. O si deciderà ancora una volta di rinviare la questione in attesa di una nuova presa di posizione della Commissione europea. «Sia chiaro però che noi non chiediamo il subappalto al 100% o anche solo al 90% - conclude Bianchi -. A queste percentuali si rischia di configurare la cessione del contratto, ma il punto è che noi siamo per le imprese che realizzano i lavori. Non per l'ingresso nel mercato di "finanziarie": quelle sì che potrebbero aprire le porte a ogni tipo di infiltrazione».

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