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Sull'anagrafe decide il giudice ordinario

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di Amedeo Di Filippo

Le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione sono devolute al giudice ordinario. Lo ha affermato la Corte di cassazione a sezioni unite con l'ordinanza n. 7637/2020.

Il caso
Una cittadina ungherese ha impugnato il rigetto da parte del prefetto di due ricorsi gerarchici impropri aventi a oggetto l'accertamento dell'erroneità e la richiesta di correzione dell'indicazione del luogo di nascita su due certificati di residenza rilasciati dal proprio Comune. Il ministero dell'Interno e la prefettura hanno eccepito il difetto di giurisdizione, per cui la cittadina ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, rilevando che il rilascio delle certificazioni anagrafiche corrisponde a un diritto soggettivo in capo al richiedente e non consente valutazioni discrezionali alla Pa, per cui le relative controversie devono essere di competenza del giudice ordinario.
La cassazione ha accolto il ricorso ribadendo che le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione coinvolgono situazioni di diritto soggettivo e non di mero interesse legittimo, attesa la natura vincolata dell'attività amministrativa a essa inerente, con la conseguenza che la cognizione delle stesse è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.

Il procedimento
L'articolo 43 del codice civile dispone che il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale. La disciplina della residenza è nella legge anagrafica 1228/1954 e nel regolamento approvato col Dpr 223/1989.
Il procedimento di riconoscimento è stato alleggerito dal Dl «Semplifica Italia» 5/2012, che ha imposto la registrazione delle iscrizioni e variazioni anagrafiche entro i 2 giorni successivi alla presentazione della domanda, la decorrenza immediata degli effetti giuridici delle dichiarazioni fatte all'anagrafe con obbligo di verifica dei requisiti nei successivi 45 giorni. Il Dpr 126/2015 ha poi adeguato il regolamento anagrafico della popolazione residente alla disciplina istitutiva dell'anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr).

Il diritto alla residenza
La Corte di cassazione ha da sempre insegnato che la residenza è determinata dall'abituale e volontaria dimora del singolo consociato in un determinato luogo e che per individuare questo luogo debbono sussistere in capo al soggetto due elementi: uno oggettivo, ossia la sua permanenza fisica in un determinato luogo, ed uno soggettivo, ossia la volontarietà della permanenza, desumibile dal comportamento tenuto dal soggetto.
In presenza di questi requisiti, sorge in capo al singolo un vero e proprio diritto soggettivo perfetto, nei confronti del quale la pubblica amministrazione ha solo un potere di accertamento e nessun margine di discrezionalità. Per questo, l'ufficio anagrafe comunale è tenuto esclusivamente a dare applicazione alle norme regolanti la materia, il suo controllo ha carattere meramente formale e il provvedimento di accoglimento ha natura dichiarativa e non costitutiva del diritto.
Le sezioni unite della Cassazione hanno in particolare affermato, con la sentenza 449/2000, che l'iscrizione anagrafica non è un provvedimento concessorio, ma è un diritto per il cittadino e un obbligo per l'ufficiale d'anagrafe. Per questo il diritto alla residenza, ovvero il diritto a essere iscritti alle liste anagrafiche tenute dai Comuni, è un diritto soggettivo e non un interesse legittimo, cosi che le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione, coinvolgendo situazioni di diritto soggettivo, sono devolute al giudice ordinario.

L'ordinanza della Corte di cassazione n. 7637/2020

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