Fisco e contabilità

Tari, alla cassa centri commerciali e iper

Ambito di applicazione - e conseguenze - dopo il recepimento delle direttive Ue sull'economia circolare

di Donato Berardi (*)

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dlgs di recepimento delle direttive Ue del Pacchetto economia circolare (Dlgs 116/2020) fa luce su alcuni aspetti che hanno catalizzato il dibattito nei mesi recenti. Nella definizione di rifiuto urbano, rivista dal nuovo articolo 183 del Dlgs 152/2006, rientrano i rifiuti domestici indifferenziati e differenziati, e i rifiuti di origine non domestica «simili per natura e composizione ai rifiuti domestici», prodotti da un elenco di attività tipizzate. Rispetto alle 30 categorie della Tari vengono escluse le «attività industriali con capannoni di produzione». Queste ultime escono dall'ambito di applicazione della Tari, anche se eventuali uffici o spazi commerciali dovrebbero essere comunque assoggettati. Lo sgravio si può valutare in circa 600 milioni di euro, il 6% del gettito della Tari. Una dimensione significativa, probabilmente per eccesso, giacché è assai probabile che già oggi parte di queste attività fossero escluse dal pagamento (non assimilate) o assoggettate parzialmente in ragione dell'avvio autonomo a recupero dei pochi rifiuti assimilati prodotti nei luoghi di produzione.

A parità di costi aumenterà dunque la Tari per le utenze domestiche? Non è detto. Con la nuova definizione di rifiuto urbano decadranno i vecchi regolamenti comunali che, in attesa di un decreto mai emanato, disciplinavano i "vecchi" criteri di assimilazione quali-quantitativi. Venendo meno ogni riferimento a criteri quantitativi, il perimetro del rifiuto urbano potrebbe estendersi sensibilmente. Molte attività economiche, soprattutto grandi come centri commerciali e ipermercati, e che producono rifiuti di qualità analoga agli urbani e in precedenza esclusi dal pagamento della Tari, rientreranno nell'ambito di applicazione. Potrebbe trattarsi di un saldo positivo per diversi milioni di tonnellate che il servizio pubblico sarebbe chiamato a gestire, e a considerare nella pianificazione impiantistica. Un volume di rifiuti addizionale che sottende anche un gettito Tari addizionale dalle utenze non domestiche "attratte" nella privativa, e che con ogni probabilità andrà a compensare il minore gettito di quelle escluse.

Non è peraltro detto che i costi del servizio crescano in misura corrispondente giacché per queste attività il nuovo articolo 238 conferma la possibilità di avvio autonomo a recupero da parte del produttore, con una scelta da confermare ogni 5 anni e in cambio di uno sgravio sulla parte variabile. È infatti assai probabile che queste attività che già oggi avviavano in modo autonomo a recupero siano chiamate a contribuire alla Tari pur senza conferire rifiuti, ovvero conferendo solo la parte non valorizzabile sul mercato. Il perimetro insomma si allarga. Le attività industriali con capannoni di produzione escono, ma vi rientrano tutte le altre attività commerciali sinora escluse perché molto grandi oppure perché producono molti rifiuti. Le regioni dovranno tenere conto di questo nuovo perimetro, potenzialmente più ampio, del rifiuto urbano, perché la pianificazione è chiamata ad assicurare gli impianti necessari all'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi.
(*) Ref Ricerche

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