Tentato abuso d'ufficio, il dipendente va comunque sospeso
A tutela dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, anche senza norme specifiche
Il dipendente pubblico che abusando della sua funzione costringe un cittadino a dargli dei soldi o altro è punito col carcere. In tal caso la Pa non ha alcun margine di scelta: deve sospendere il dipendente dal servizio. La normativa nulla dice con riferimento al caso di crimine tentato dal dipendente ma che poi per cause estranee non ha portato a termine. Ed è questa la base su cui il funzionario implicato nella vicenda aveva chiesto la riammissione a lavoro; giudicata invece impossibile dal Consiglio di Stato (parere n. 379/2022) secondo cui pur mancando norme chiare in tali casi il "disvalore" per l'immagine della Pa è uguale; per cui deve al più presto allontanare il dipendente dai suoi uffici.
Se il delitto tentato non fosse costruito come figura autonoma di reato non sarebbe mai punibile essendo gli elementi costitutivi di questo del tutto differenti da quello consumato. Ciò nonostante sarebbe improprio utilizzare sul piano amministrativo la concezione penale del tentativo trattandosi di ambiti completamente diversi sia per scopo che per funzione. Sotto il profilo amministrativo il delitto tentato e il delitto consumato non possono che ricevere lo stesso trattamento atteso che la finalità delle disposizioni riguardanti gli effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti pubblici è la tutela del buon andamento della Pa e la necessità di evitare di esporla al «clamore di piazza»; interessi che possono essere lesi in ugual modo sia dal reato consumato che da quello (solo) tentato. A una misura di carattere amministrativo non si possono applicare le rigide regole del diritto penale tanto più che la sospensione dal servizio non ha natura sanzionatoria rivestendo piuttosto natura più precisamente cautelare.
La sottoposizione a processo penale di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio per un grave reato in danno della Pa come la concussione da un lato mina alla radice la fiducia che l'Amministrazione pone nel dipendente dall'altro genera una vera e propria lesione del prestigio e della reputazione dell'istituzione coinvolta. Vengono danneggiati l'imparzialità e l'immagine sia interna che esterna della Cosa pubblica. Ne deriva che l'allontanamento dal servizio del dipendente che è stato condannato per tali reati è funzionale al necessario ripristino della legalità e alla tutela della buona "nomea" della Pa coinvolta. Qualità che risulterebbero compromesse dalla permanenza in servizio di un soggetto autore di condotte gravi, di tenore penale, e nei confronti del quale può dirsi certamente incrinato l'imprescindibile rapporto fiduciario sotteso allo svolgimento del servizio pubblico. Pur in assenza di normativa specifica l'imparzialità e il buon andamento dell'azione amministrativa vanno tutelati senza alcuna rilevanza a seconda di reato consumato piuttosto che tentato. E se si ragionasse diversamente saremmo di fronte a un ingiustificabile vuoto di tutela e di garanzia del buon andamento dell'azione amministrativa pubblica.