Appalti

Europa, il mercato unico degli appalti ostaggio di norme inefficienti

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di Maurizio Maresca

Sono tanti i segnali di una ripresa del protezionismo nei servizi dentro e fuori l’Unione europea.

Che in tutti i paesi membri si tutelino prima le imprese nazionali, in un mercato dove le barriere di accesso dovrebbero essere inefficaci, è una realtà che testimonia la insufficienza del “mercato unico” e l’urgenza di mettervi mano: la grande sfida lanciata con Maastricht, che avrebbe dovuto assicurare la libera circolazione dei servizi anche “oltre il trattamento nazionale”, non è ancora vinta. Purtroppo le direttive settoriali, le più recenti sono la 23/2014 in materia di concessioni e la 24/2014 in tema di appalti, sono spesso recepite dagli Stati in modo da tollerare barriere di accesso che le imprese comunitarie non riescono a superare a meno che non dispongano di una base stabile – e introdotti avvocati ammnistrativisti - nel paese che apre il mercato. E i buoni propositi di lotta al “gold plating” (la sovranormazione nazionale rispetto alle regole Ue), enunciati costantemente da tutti i governi, si infrangono contro gli interessi in genere volti a proteggere le imprese locali.

Guardando a uno studio della Commissione sull’attuazione del mercato unico nel campo degli appalti si profilano alcune disarmonie che caratterizzano vari paesi membri: alcuni paesi (più di tutti quelli con “amministrazione debole”, come l’Italia e in genere i paesi dell’est) sono caratterizzati da corruzione, difetto di semplificazione e mancanza di certezza giuridica: spesso proprio i ricorrenti interventi legislativi finiscono per ridurre, anziché aumentare, i presidi di libera circolazione. Altri paesi (fra i quali ancora l’Italia) prevedono un sistema di tutela che premia chi vuole impedire piuttosto che chi vuole costruire: il difetto di sintesi fra tutela dei diritti, speditezza delle procedure e qualificazione professionale della pubblica amministrazione favorisce abusi.

I paesi “amministrativamente più forti” (Francia e Paesi scandinavi), dove le disarmonie di cui sopra sono meno evidenti, finiscono per tutelare persino meglio le imprese nazionali e quindi ridurre, di nuovo, il funzionamento del mercato unico.

In breve il mal funzionamento del mercato unico è dovuto, certo, alla incapacità di alcuni Stati, ma anche a una generale ipocrisia di tutti: e, ovviamente, a norme europee che lasciano ampi spazi di malfunzionamento. Più che molte altre questa, per chi credesse nell’integrazione europea, sarebbe una grande riforma: il funzionamento del mercato unico premiando merito efficienza ed investimenti sulla base di norme chiare, certe e definitive (in questa fase storica – che purtroppo si prolunga - se si cambia si cambia in peggio).

Per altro sembra crearsi un nesso, nella cultura protezionistica che si va affermando, fra un protezionismo interno all’Europa e il protezionismo verso i Paesi terzi magari giocato con l’argomento di difendere diritti universali (ambiente) e valori occidentali (democrazia). Solo la strada di una maggiore efficienza in chiave concorrenziale del mercato unico europeo (con l’abbandono delle ipocrisie e lo smantellamento delle difese nazionalistiche) consente di far crescere in maniera sana e trasparente campioni europei capaci di competere su un mercato globale dove le dimensioni aziendali sono comunque un fattore rilevante. Molto più della strada protezionistica che punta a creare barriere verso i Paesi terzi (potenziamento della golden share europea e controllo diretto degli investimenti esteri affidato alla commissione) o di quella anticoncorrenziale interna che vuole indebolire le norme a tutela delle piccole e medie imprese e degli utenti.

In sostanza si ha la sensazione, a guardare i dati, che il tema della prossima Commissione europea non sia affatto “sovranismo contro europeismo”, come in Italia siamo portati a credere; la sfida è invece, affrontando le varie ipocrisie di tutti i Paesi dell’Unione (deboli e forti), fra “protezionismo e libertà di commercio”. L’auspicio è che l’Italia, partendo dalla nuova Commissione europea, riesca a riaffermare la visione di Maastricht (e quindi ad aggregare una maggioranza): quella per la quale il “buon funzionamento del mercato” (uno dei grandi principi della Comunità prima e dell’Unione poi) è davvero la premessa di competitività dell’Unione tutta sul piano globale se in sintesi con i principi fondamentali dell’Unione.

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