Appalti

Consiglio di Stato: le verifiche antimafia vanno effettuate anche sui familiari dell'imprenditore

di Ilenia Filippetti

I legami di natura parentale assumono rilievo qualora costituiscono uno strumento utile ad agevolare e a mascherare l'infiltrazione mafiosa nell'impresa appaltatrice. È questo il principio affermato dalla terza sezione del Consiglio di Stato con la recente sentenza 1 dicembre 2015, n. 5437.

Il caso
Alcuni Comuni campani dispongono l'affidamento del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti a un'impresa a carico della quale, tuttavia, la Prefettura di Caserta emette un'interdittiva antimafia.
I Comuni dispongono la revoca del servizio ma l'operatore economico propone ricorso al Tar Campania, il quale accoglie il ricorso e dichiara illegittima la revoca dell'appalto.
La Prefettura di Caserta impugna la sentenza resa in prime cure e, con la pronuncia in rassegna, il Consiglio di Stato dichiara invece legittima la revoca del contratto.

La rilevanza del quadro indiziario
Il Consiglio di Stato richiama, in primo luogo, i principi affermati dalla copiosa giurisprudenza amministrativa edita in materia, la quale ha più volte riconosciuto come l'interdittiva antimafia sia volta a garantire un ruolo di massima anticipazione all'azione di prevenzione contro i pericoli di inquinamento mafioso: ne consegue che, per l'emissione dell'interdittiva, sarà sufficiente un quadro indiziario idoneo a generare un ragionevole convincimento sul possibile "condizionamento mafioso" dell'impresa (cfr. Consiglio di Stato n. 6618/2012 e n. 2734/2015).
Gli elementi sintomatici e indiziari dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza possono consistere, a titolo esemplificativo:
• in una condanna penale (anche non irrevocabile);
• nell'irrogazione di misure cautelari;
• nel coinvolgimento in un'indagine penale;
• in cointeressenze societarie;
• in frequentazioni con soggetti malavitosi;
• in collegamenti parentali.
Si tratta, in altri termini, di elementi che, considerati nel loro insieme, possono essere idonei far ritenere che l'attività d'impresa sia in grado, ancorché in maniera indiretta, di agevolare le attività criminali o di esserne in qualche modo condizionata.
In questa cornice, pertanto, è sufficiente un quadro indiziario che renda plausibile il tentativo di condizionare le scelte dell'impresa, anche se tale scopo non si sia in concreto realizzato, in coerenza con le caratteristiche sociologiche del fenomeno mafioso che non necessariamente si concreta in fatti illeciti ma che, sovente, si ferma alla soglia dell'intimidazione, dell'influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite (cfr. Consiglio di Stato n. 115/2015).
In materia, peraltro, il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti di revoca è soggetto a forti limitazioni, considerata l'ampia discrezionalità di valutazione del contesto indiziario riservata al Prefetto, al quale spetta tutelare i beni fondamentali della sicurezza e dell'ordine pubblico: ne consegue che le valutazioni compiute dall'Autorità prefettizia saranno soggette al sindacato del Tar nei soli casi di manifesta illogicità o di erronea e travisata valutazione dei presupposti di fatto (cfr. Consiglio di Stato n. 1576/2015).
Nel caso di specie, pertanto, il ricorso avverso la sentenza del Tar Campania è stato accolto in quanto – a differenza del Giudice di prime cure – il Consiglio di Stato ha ritenuto che il complesso degli elementi e dei fatti rappresentati nell'informativa fossero idonei a sorreggere, in modo ragionevole, le conclusioni cui era giunto il Prefetto di Caserta.

L'influenza dei legami familiari
Il Consiglio di Stato ricorda che i legami di natura parentale assumono rilievo qualora emerga un intreccio d'interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza di un oggettivo pericolo che i rapporti di collaborazione intercorsi tra i soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano uno strumento utile ad agevolare e a mascherare l'infiltrazione mafiosa nell'impresa (cfr. Consiglio di giustizia amministrativa n. 227/2012).
Può essere utile ricordare, a tale proposito, che per quanto riguarda le società di capitali, le verifiche mediante la richiesta delle informative antimafia devono essere effettuate relativamente a:
• legale rappresentante;
• amministratori (presidente del consiglio di amministrazione, amministratore delegato e consiglieri);
• direttore tecnico (ove previsto);
• socio di maggioranza (nelle società con un numero di soci pari o inferiore a quattro) ;
• socio (in caso di società unipersonale);
• membri del collegio sindacale oppure, nei casi contemplati dall'articolo 2477 del Codice civile, sindaco, nonché soggetti che svolgono i compiti di vigilanza di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b) del Dlgs 231/2001.
Le informative antimafia devono essere richieste, inoltre, nei confronti dei familiari conviventi dei predetti soggetti: con l'espressione "familiari conviventi " s'intende, in particolare, chiunque conviva, purché si tratti di soggetti maggiorenni e residenti sul territorio dello Stato italiano.
Ai fini dell'effettuazione dei controlli sui conviventi, pertanto, la stazione appaltante dovrà acquisire dalla società sottoposta a controllo anche la dichiarazione sostitutiva riferita ai familiari conviventi degli amministratori e dei componenti del collegio sindacale sopra indicati.

Continuità nel rapporto giuridico con soggetto mafioso
A margine della pronuncia in rassegna, il Consiglio di Stato ricorda il principio di prevalenza dell'interesse pubblico alla continuità dei servizi pubblici essenziali, sancito dall'articolo 94, comma 3 del Dlgs 159/2011: la regola del Codice antimafia opera, in particolare, nel caso in cui il soggetto – che fornisce il servizio e che sia stato colpito da informazione interdittiva – non sia sostituibile in tempi rapidi con un altro operatore economico.
A tal fine – ricorda il Consiglio di Stato – deve essere tuttavia considerata l'eccezionalità del principio della prosecuzione del rapporto contrattuale, principio che va applicato con rigore e nei soli casi di effettiva insostituibilità del fornitore a causa delle caratteristiche merceologiche del prodotto oppure considerata la fase avanzata di esecuzione del contratto.
Al contrario, la continuità del contratto colpito dall'informativa antimafia non potrà mai operare qualora la prestazione contrattuale sia fungibile e possa essere assicurata da un'altra azienda operante nel settore, che sia individuata temporaneamente come nuova affidataria e venga incaricata dalla stazione appaltante in via diretta e d'urgenza nelle more dell'effettuazione di una regolare gara.
La scelta di continuare il rapporto con le imprese destinatarie di un'informativa, nonostante il collegamento delle stesse con le organizzazioni malavitose attestato dal Prefetto, è pertanto un'ipotesi remota e residuale, considerata la ratio di netto e radicale disfavore verso le possibili infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici: tale temporanea continuità, dunque, potrebbe considerarsi legittima solo se funzionale alla tutela dell'interesse pubblico a seguito di una valutazione di convenienza operata dalla stazione appaltante, tenuto conto di specifiche circostanze che dovranno essere adeguatamente ed attentamente motivate.


LE ULTIME DECISIONI PUBBLICATE SU PROBLEMI ATTUALI

APPALTI

L'incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta
In materia di appalti pubblici, a norma del comma 1-bis dell'articolo 46, Dlgs 163/ 2006, tra le cause di esclusione vi è l'ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o provenienza dell'offerta. Il legislatore con la novella del 2011 ha inteso selezionare e valorizzare solo le cause di esclusione rilevanti per gli interessi in gioco, a quel punto imponendole, del tutto logicamente, come inderogabili non solo al concorrente ma anche alla Stazione appaltante, stabilendo un novero delimitato di ipotesi la cui cogenza è tale da sottrarla anche alla discrezionalità della stessa stazione appaltante.
Consiglio di Stato, sezione 5, sentenza 30 novembre 2015, n. 5406

La mancata attivazione del soccorso istruttorio
In merito all'impugnazione degli atti del pubblico appalto, è fondata la doglianza con la quale si stigmatizza la mancata attivazione del rimedio del soccorso istruttorio a fronte dell'ambiguità della clausola di disciplinare posta dalla stazione appaltante a base del provvedimento di esclusione, laddove, l'attivazione di cui innanzi, avrebbe impedito l'immediata estromissione della ricorrente dalla gara offrendole la possibilità di integrare la dichiarazione di moralità professionale. La stazione appaltante avrebbe dovuto applicare nei riguardi dell'ATI ricorrente il principio del soccorso istruttorio, finalizzato, in presenza di clausole ambigue, ad offrire alla stazione appaltante, la possibilità di una corretta lettura e consentire l'integrazione dei dati mancanti nella domanda di partecipazione, favorendo in tal modo, la massima partecipazione alla gara. Pertanto, l'invito all'integrazione costituisce una palese violazione del principio della par condicio, solo in presenza di una previsione chiara e dell'inosservanza di questa da parte di una impresa concorrente".
Tar Campania, Napoli, sezione 1, sentenza del 30 novembre 2015, n. 5518

La cauzione insufficiente e la mancata fidejussione: conseguenze e differenze
Nell'ambito della procedura di gara del pubblico appalto, la stazione appaltante non può escludere il concorrente che abbia presentato una cauzione di importo non sufficiente o connotata da altre irregolarità, mentre può escluderla nel caso di mancata presentazione dell'impegno di un fideiussore a rilasciare la fideiussione definitiva. Trattasi di una causa di esclusione tassativa, sancita dall'articolo 75 del Dlgs 163/2006. Tale norma prevede infatti che l'offerta è corredata da una garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente e il successivo comma 6 indica che la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo.
Tar Lazio, Roma, sezione 2-bis, sentenza 30 novembre 2015, n. 13503

EDILIZIA E URBANISTICA
Necessari i titoli edilizi per i cartelloni pubblicitari di rilevanti dimensioni

La normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configuri un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo urbanistico, che sotto quello edilizio. Ne deriva che, laddove la sistemazione di un'insegna o di una tabella pubblicitaria o di ogni altro genere, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l'assenso mediante permesso di costruire e mediante Scia, negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli articoli 2, 6 e 7 del Dpr 380/2001 e successive modificazioni.
Tar Calabria, Reggio Calabria, sentenza 27 novembre 2015, n. 1148

Carattere reale e funzione ripristinatoria dell'ordine di demolizione
L'ordine di demolizione, che consegue all'accertamento della illegittimità di un manufatto realizzato senza titolo o in sostanziale difformità dallo stesso, ha carattere reale e funzione ripristinatoria, essendo volto a ristabilire l'assetto territoriale violato attraverso la edificazione abusiva e in tal senso esso è opponibile anche a soggetti estranei al comportamento illegittimo, come gli eredi o gli aventi causa dell'autore dell'abuso. In tal senso, esso può essere legittimamente esteso alla società cessionaria del ramo di azienda nel quale è collocato il manufatto abusivo stesso, avente causa del soggetto responsabile; si aggiunga che l'estensione dell'ordine demolitorio all'avente causa è peraltro l'unico modo per dare concreta esecuzione alla demolizione stessa, che non può che eseguirsi nei confronti di chi si trovi nella materiale disponibilità del bene.
Tar Toscana, sezione 3, sentenza 23 novembre 2015, n. 1570

La finalità del termine nei piani particolareggiati
In materia urbanistica, ai sensi degli articoli 16, 17 e 28 della legge 1150/1942 è previsto che l'efficacia dei piani particolareggiati ha un termine di durata entro il quale le opere devono essere eseguite ed esso non può essere superiore a dieci anni. L'imposizione di tale termine va intesa nel senso che le attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non possono essere attuate oltre un certo termine, scaduto il quale l'autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate.
Consiglio di Stato, sezione 4, sentenza 30 novembre 2015, n. 5413

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