Urbanistica

Manovra, l'allarme dei sindaci: Superbonus a rischio flop senza semplificazioni

La maggioranza è per una proroga limitata al 2022, anche se il M5S preme per arrivare almeno al 2023

di Marco Mobili e Marco Rogari

La proroga del superbonus s'intreccia con la partita sulla durata temporale della cessione dei crediti e continua ad agitare la maggioranza. La durata del 110% non è condizionata soltanto dal nodo risorse ma è legata anche all'esito del confronto in corso con Bruxelles sulla possibilità di tenere fuori dal perimetro del debito pubblico la cessione dei crediti d'imposta, a cominciare da quello del superbonus che senza la cedibilità perderebbe forza e appeal. Anche per questo motivo una parte della maggioranza sostiene l'ipotesi di un prolungamento dell'agevolazione limitato, per il momento, al 2022. Una proroga considerata però insufficiente dal M5S. Che insiste su un allungamento del volano per il rilancio dell'edilizia almeno al 2023. E a scendere in campo è stato ieri ministro degli Esteri, Luigi Di Maio in persona: «In un periodo di crisi come quello che stiamo affrontando dobbiamo dare sostegno e soluzioni ai cittadini e trovo dunque incomprensibile opporsi al rinnovo di questa misura».

A sostenere le richieste dei Cinque stelle sono anche i padri putativi del 110%. «In questi giorni le parti sociali, le forze politiche di maggioranza e di opposizione e i cittadini chiedono a gran voce la proroga pluriennale del superbonus del 110%», sottolinea il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro. Altrettanto netto è il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli: «Se c'è la volontà politica di garantire il Superbonus fino al 2023 mettiamolo nero su bianco destinando una parte delle risorse del Recovery Fund a questo. Lo può già decidere il Parlamento, che è sovrano». I destinatari di questi messaggi sono i Dem e i loro esponenti al governo. La replica del vicesegretario Andrea Orlando non si fa attendere: «Se il ministro Di Maio riteneva fondamentale il Superbonus doveva dirlo in Consiglio dei ministri», quando è stata approvata la manovra. La tensione resta alta. Soprattutto sull'ipotesi d'intervento al momento allo studio. Che, come anticipato dal Sole 24 Ore, prevede una proroga di sei mesi nel 2022, con la possibilità di considerare ammessi al superbonus gli investimenti avviati nel primo semestre e portati a termine entro il 31 dicembre dello stesso anno. Questa opzione in due fasi dovrebbe essere accompagnata anche dalla riduzione da 5 a 4 anni della ripartizione del credito.

Un elemento questo che, secondo il sottosegretario all'Economia, Alessio Villarosa (M5S), penalizzerebbe fortemente banche e imprese.Una partita complessa che si sta giocando alla Camera, dove i Dem cercano di allentare la tensione. «Non c'è alcuno scontro nella maggioranza», afferma Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in commissione Bilancio a Montecitorio. Che prosegue: «Nel confronto parlamentare per ora siamo riusciti ad ottenere una proroga per tutto il 2022. Tutti - conclude - vorremmo la proroga al 2023. Sarebbe opportuno quindi evitare polemiche sterili e concentrarci su quanto ci resta da fare». Anche per la presidente della commissione Attività produttive della Camera, Martina Nardi, è «meglio una proroga limitata e immediata per far partire i lavori che nessuna proroga». Anche dai Cinque stelle c'è chi prova a gettare acqua sul fuoco, come la viceministra all'Economia, Laura Castelli: «Non c'è nessuna spaccatura», dice intervenendo a Radio anch'io su Radio 1 Rai e aggiungendo: «bisogna solo incastrare, e questo è un lavoro molto complesso, le risorse del Recovery Plan, che si stanno chiudendo in questi giorni con quelle da finanziare in deficit».

Non c'è solo la proroga ad agitare il dibattito sui correttivi alla manovra necessari per il decollo del 110%. Dai Comuni infatti arriva, con un emendamento sostenuto dall'Anci, la richiesta di una forte semplificazione delle procedure sulle attestazioni dei titoli abilitativi o di quelli sulle sanatorie degli immobili. «La documentazione attualmente necessaria - affermano alcuni amministratori locali impegnati nell'Anci - prevede ricerche che, soprattutto negli archivi delle grandi città, richiedono un lasso di tempo che va dai 6 ai 12 mesi per essere completate: così si mette a rischio l'effettivo accesso agli investimenti». Inoltre si rischia di bloccare anche l'attività ordinaria, «altrettanto decisiva per la ripresa economica del nostro Paese».

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